Quella sottile linea che divide il figo dal pretenzioso
Esperienze di vita vissuta!
Ieri sera il mio ex coinquilino mi ha invitata a un concerto dopo parecchio che non ci vedevamo. Nonostante tornassi da un fine settimana lungo e il Lunedì sera non sia esattamente la mia sera preferita per uscire ho accettato, immaginando che se avessi rifiutato sarebbe passato altro tempo prima di rincontrarci.
La serata offre il concerto di Moonface with Siinai e degli Errors. Esticazzi, direte voi! Bè, ‘sta gente è arrivata rispettivamente dagli Stati Uniti e da Glasgow per suonare nella città più pericolosa di Svezia, che ci crediate o no.
Pubblico pagante: nessuno, poichè di concerto a entrata libera trattavasi; numero dei presenti: tra i cinquanta e i cento ma calcoliamo che tra le due band c’erano già almeno 8 persone. Insomma, un successone.
Adesso io dovrei fare due premesse. La prima è che mi scuso per il pistolotto che verrà fuori alla Adriano Celentano che diceva cosa è lento e cosa è rock, perchè io in un modo simile pensavo di parlare di cosa è figo e di cosa è pretenzioso. La seconda è che l’idea di questo post mi è venuta in un momento in cui stavo pensando in inglese e dire “pretentious” e “cool” aveva tutto un altro sapore. E solo per la cronaca, scrivere cose in inglese in un testo in italiano è pretenzioso.
Dicevo che ero a questo concerto con numeri di pubblico da saggio di chitarra delle medie e mi sono trovata circondata da hipsters. E questa esse di hipsters plurale è pretenziosa ma grammaticalmente corretta. Soprattutto essere hipster è pretenzioso in sè. ‘Ste cuffie in testa anche in estate e comunque troppo corte per coprire le orecchie, baffi di ordinanza (anche se la barba è figa) e la camicia a scacchi. Pre-ten-zio-so.
In questo mondo di scacchi, baffi e cuffie sale sul palco il primo gruppo, gli Errors. La cosa figa è che io li conoscevo già da prima di venire al concerto ma è stato sicuramente pretenzioso far sapere al mio amico che io li conoscevo. La loro esibizione è stata abbastanza figa, non pretenziosa, tutt’al più noiosa.
Viene la pausa e faccio quattro chiacchiere in attesa del secondo gruppo. Intanto direi che è abbastanza figo il fatto che io fossi lì con questo mio ex-coinquilino con cui un paio di anni fa avevo avuto una mezza storia e che adesso chiacchieravo amabilmente con la sua ragazza e il suo amico in “pappa ledig”. E’ pretenzioso dire che siamo amici, siamo più due che si vedono ogni tanto ma non troppo spesso. E’ figo pensare che quando ho fatto domanda per il dottorato in terra Scandinava la storia era in corso e, se io oggi sono qui, è un po’ anche per colpa sua. Non figo bello, ma figo arzigogolato, che se solo ci si fermasse a pensare per quale ragione si diventa quel che si diventa ci renderemmo conto che ogni minuscola azione potrebbe avere spropositate conseguenze in un futuro a medio termine. Sarebbe però pretenzioso pensare che anche essendo a conoscenza di questa realtà saremmo in grado di limitarci nel nostro fare per non diventare qualcosa di sbagliato.
Mentre suonava il secondo gruppo ho avuto tutto questo pretenzioso flusso di coscienza, perchè i nostri amici Moonface with Siinai erano alquanto pretenziosi e in quanto tali hanno permesso che questi pensieri vagassero per la ora abbondante di concerto.
A seguire una lista di cose pretenziose che mi sono saltata agli occhi vedendo questa band.
Muovere prepotentemente la testa su e giù anche quando non c’è nessun ritmo. Non vale seguire il ritmo interno!
Bere birra e suonare la tastiera contemporaneamente.
Sussurrare al microfono e poi lamentarsi che il pubblico parla troppo forte, applaude troppo forte e respira in generale.
Tenere conversazioni immaginarie con persone del pubblico.
Fare una canzone che dura 15 minuti. E mugugnare la stessa cosa per 5. Ancora peggio è fingere di essere interessati alla canzone mentre stiamo pensando ai fatti nostri. E qui mi dichiaro colpevole.
Lasciare il concerto prima della fine, anche se gratis.
Ma soprattutto, declamare una poesia a tempo di musica. Leggendola dal libro. Leggerla con rabbia. Con il ritmo che incalza. E alla fine gettare a terra il mezzo chilo di libro di poesie, nemmeno stesse prendendo fuoco.
Tuttavia, se non consideriamo tutta questa boria da rockstar il concerto ha auto qua e là apici di fighezza, come quando ha suonato il tamburello in un controtempo inimmaginabile che era assolutamente perfetto nella sua assurdità. O quando lanciava il tamburello per cambiare mano, lo riusciva a prendere e con una mano suonava la tastiera e con l’altra il tamburello. Il tamburello è figo in generale.
La cosa più figa è però che questi Moonface sono riusciti a intrattenermi per un’ora buona, voli pindarici a parte, facendomi tremare lo stomaco per i bassi prepotenti (figo) e facendomi credere che ne è valsa l’ora tarda e le occhiaie di stamattina. Ma soprattutto stamattina, quando ho riascoltato il loro album, ho trovato un disco carino, abbastanza orecchiabile, ma niente per cui il mio stomaco si muoverebbe di un millimetro, nemmeno per un rigurgitino, sottolineando quanto sia importante il pretenzioso fascino che certe volte ai concerti viene distribuito a piene mani.
Un Commento