Le mie prigioni

(Johnny Cash era più figo quando era Joaquin Phoenix, comunque)

Un primo aggiornamento dalla terribile Albione. Che a chiamarla Albione ci ho preso gusto e se il tempo è dalla mia vorrei quasi fare un salto a vedere il vallo di Adriano, giusto per dare un tono ancora più epico a questa calata nel Regno Unito.

Scrivo per descrivere dove sono e cosa sono, a futura memoria.

La casa in cui alloggio ha conquistato in cinque minuti al massimo lo pseudonimo di prigione. La mia cella camera è un cubotto di 9 metri quadri, con lato 3 per 3. L’arredamento può essere descritto come spartano, con un eccesso di generosità verso Sparta e i suoi usi, ed è dotato di un lavabo in camera. La turca in camera, come nelle migliori prigioni di Caracas non c’è, mi devo fare un piano di scale per arrivare al primo pisciatoio disponibile. Le pareti sono bianchine, una fa eccezione ed è grigina, la porta è grigia e il copriletto in comodato d’uso è azzurrino. Per terra, nella mia camera e ovunque, moquette. Moquette a spruzzo. Scale coperte di moquette, uffici universitari con la moquette, moquette con macchie dei secoli nei secoli amen.

Poi io ce l’ho sempre avuto qualche problema di relazione con la moquette, forse per copla di mia madre che mi lanciava anatemi di micosi e altre malattie appena mi azzardavo a camminare senza ciabatte in un albergo (con la moquette, ovviamente). E forse proprio per la sovraesposizione da moquette, a me questa nuova casa ha destato qualche sospetto fin da principio.

Quando arrivai, all’alba di Lunedì!, iniziai a dare un’occhiata in giro (dopo aver scoperto la miserrima dotazione della mia camera). Una vasca da bagno (roba che non vedeva dal 1997), un water, una doccia, un altro water, dieci porte che danno su altrettante stanze e una cucina in cui, fatta eccezione per un bidone dell’immondizia semi pieno, non si scorge traccia di passaggio umano. Apro il frigo per cercare di capire le abitudini alimentari degli autoctoni, e soprattutto, se gli autoctoni esistono. Il frigo è quasi pieno, ci sono bigliettini con i nomi su alcuni ripiani. Ad oggi, coloro che hanno apposto il nome sul cibo non sono ancora stati avvistati. Probabilmente se scrivi il tuo nome e lo metti in frigo morirai dopo sette giorni.

Con il passare dei giorni, sporadicamente, è stata avvistata un po’ di umanità varia, che vi vado a descrivere.

La cinese. Ogni casa condivisa che si rispetti ha una Cinese, che come tradizione parla un Inglese demmerda. A differenza mia, lei sembra apprezzare il comfort della sua cella, tanto che una volta cucinato il pasto corre a mangiarselo in camera. Spesso ho l’impressione che mi dica di sì ma non capisca davvero quello che dico.

L’algerino atipico. Questo mi ha fatto un agguato mentre io ero sulla via per il bagno. Volevo andare a fare la pipì tantissimo e non appena chiudo la porta, ecco che si apre la porta in fronte alla mia: “Ciao, ho sentito qualcuno e volevo vedere chi era!”. Per la serie: chi sei? dove vai? un fiorino! Dopo una sosta in bagno ci sediamo in cucina per fare due chiacchiere. Dice che è Algerino, anche se i tratti nord Africani non ce li ha proprio, ma visto che io sono ignorante come una capra sospetto che ci sia qualche influenza colonica nella sua stirpe e non do peso alla vicenda. Questo suona in un gruppo di musica andalusa (WTF?!) e dopo dieci minuti che parliamo mi sta già troppo addosso: domani mattina andiamo insieme in Università, ci iscriviamo insieme in palestra, andiamo a fare la spesa insieme. Ragazzo, se vuoi possiamo anche sincronizzare i nostri respiri e poi siamo una cosa sola: dammi spazio! Con mia somma sorpresa, dopo avermi promesso sincronia eterna ha metodicamente mancato ogni appuntamento che avevo proposto, nonostante una certa riluttanza nel proporre tali incontri. Ciò nonostante, quando Mercoledì sera ho rincasato alle 11 mi è venuto a bussare alla porta chiedendomi dove ero stata. La più grande canottiera del secolo: non stare addosso!

L’hondureña. Questa più che una coinquilina è un personaggio mitologico. Apparsa due volte in cucina, manco fosse la madonna del monte, con una tazza di plastica in mano si scalda un po’ d’acqua e se ne va. Il suo Inglese è talmente terribile che mi stupisco che sia sopravvissuta in questa nazione per due mesi. Mossa a pietà e per la mancanza di comprensione anche per le domande più basilari (tipo, in che stanza sei? Lei risponde, Sì, mi prendo un po’ di acqua calda) ho provato a parlare Spagnolo e si sappia che il mio Spagnolo è pressochè inesistente. Alle mie domande in Spagnolo lei mi rispondeva sempre in modalità random in Inglese. Probabilmente avrà pensato che sono come una di quei turisti Europei che vanno in vacanza in Centro America e credono di essere autoctoni perchè possono dire La cuenta por favor. Comunque lei adora il mio nome e l’ultima volta che mi ha visto si è messa a cantare una canzone.

L’Italiano. Sappiate che se dovessi morire è per mano sua.  L’ho incontrato sul pianerottolo e mentre io tentavo di ingaggiare una conversazione, forte del fatto che condividiamo la stessa lingua, notavo che lui si teneva saldo alla maniglia della porta della sua camera, lanciando il chiaro messaggio che di parlare con me non ne aveva proprio voglia. I successivi incontri sono stati brevi e io, come mio solito, tenevo banco mentre lui rispondeva a stento e con monosillabi. Gli si sono illuminati gli occhi solo quando ha visto che sto leggendo un libro di Vargas Llosa, per il resto penso che non mi possa reggere. Spera che io decida di ritornare da dove sono venuta il più presto possibile e che le mie corde vocali si recidano nottetempo, così almeno la chiudo ogni tanto quella ciabatta urlante che mi ritrovo al posto della bocca. Ogni mio tentativo di coinvolgerlo in attività di gruppo si sta rivelando vano. (Perchè nel caso ci fosse qualche dubbio, mi sono autoeletta anima trascinante di questa armata Brancaleone e sono determinata ad instaurare un regime di socialità minima tra gli occupanti di questa altrimenti tristissima prigione)

Il Belga. Questo è l’unico che mi sta dando qualche soddisfazione. Oltre ad aver proposto di vedere un film di Jim Jarmush e ad aver avuto più d’una conversazione con me, questo ha anche capito che questa casa, così com’è, è un covo di pazzi. Un posto in cui ognuno ha il suo piatto e il suo bicchiere, la sua padellina e che appena finito di mangiare tutto scompare in una qualche scansia della cucina. Un posto in cui le persone non sono quasi mai fuori dalle proprie stanze e se ci sono tendono a rientrarci il prima possibile. Mi ha anche chiesto: ma come ti è venuto di venire qui appena prima delle vacanze di Pasqua? Caro mio, io faccio scelte prive di senso dal 1986: perchè cambiare proprio ora? Per noia, per mancanza di spunti e per il totale collasso di altre storie pregresse, penso che mi stia prendendo una mezza cotta per il Belga. Sospetto sia gay, ma questa non sarebbe poi una novità per le mie infatuazioni.

Ci sono altre quattro stanze che non hanno un occupante ad oggi, per cui nuovi e improbabili personaggi potrebbero capitare sulla via nei prossimi giorni. E il mistero continua…

  1. HappyAladdin

    Di quando sono stata in Inghilterra, un mese a vivere in una casa simile a quella che hai descritto (ma in aggiunta, lì c’era la padrona di casa a vegliare su di noi, sempre), ricordo gli odori e la sensazione di smarrimento totale. A posteriori, è stata un’esperienza. Durante, sembrava solo che le cose succedessero. Scrivevo un diario via mail che si chiamava, con molta fantasia, ‘In England’. Quando l’ho riletto, l’anno scorso, mi sono accorta che avevo rimosso metà delle cose che ci avevo scritto. Ma di bello ci sono i colori e i pub (ah!), e naturalmente la lingua. E probabilmente parecchie altre cose, ma da giovane ero meno attenta… Buona scoperta 😀

    • Frou Svedese

      In questi giorni lo sto prendendo come un ritiro spirituale: dopo i fasti dell’Olanda e le delusioni della Svezia viene il momento di tirare le somme. Che non sia il posto e il momento giusto per farlo?
      In bocca al lupo con i tuoi progetti, anche se non lascio traccia sto seguendo il blog!

  2. Comfort_noise

    In bocca al lupo per questa nuova avventura! Da quello che leggo, mi pare tu ne abbia bisogno! 🙂
    Qualche anno fa sono stato a Londra per una specie di vacanza studio e abitavo da una signora che era alcolizzata e fumatrice accanita. Ogni tanto si dimenticava di cenare, oppure veniva a trovarla il suo ex marito e si urlavano. Ah, dimenticavo che una volta rischiò di dare fuoco alla casa facendo cadere una sigaretta accesa sotto il divano e non riuscendo a riprenderla. Come in molte storie di esperienze in gran bretagna, la moquette gioca un ruolo fondamentale.

  3. zubenELG

    Non ho mai vissuto in Inghilterra per più della durata di una vacanza, ma la moquette è senza dubbio uno dei primi ricordi 🙂
    Buona permanenza!
    P.s. Non ci posso credere che l’hai davvero chiamato l’Appartamento Albionese 😀

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