Fine primo tempo

(Se mi dicessero che questa è l’unica canzone che posso ascoltare da qui alla fine dei miei giorni, non la prenderei troppo male)

Sono arrivata a poco più di metà della mia avventura Albionese ed è già tempo di bilanci. Così come è successo durante il periodo Olandese, sono felice. Sono felice della stessa felicità per cui non c’è niente di incredibilmente perfetto da farmi svegliare alla mattina con un sorriso. Ma che lo voglia o no, quel sorriso ce l’ho in faccia.

Sono quasi quattro settimane. Ci sono stati giorni in cui mi sono chiesta che cosa ci facevo qui. Per la prima settimana non ho nemmeno disfatto la valigia, ce l’avevo aperta in mezzo alla camera, con ancora i vestiti piegati all’interno. Nemmeno dovessi decidere di chiuderla, prendere la porta e tornare da dove sono venuta. E invece niente, dopo un po’ la valigia l’ho disfatta e adesso ci ho pure preso gusto.

Scrivo di sabato sera, perchè sono a casa. Il sabato sera a casa era una cosa che non mi succedeva da secoli: il fine settimana, per me sacro e dedicato a qualsiasi attività purchè fuori di casa e in compagnia, non è più imprescindibile. Alla fine qui conosco una manciata di persone, nella casa stasera penso ci saremo solo io e la Cinese.

L’Italiano è probabilmente fuori con la Brasiliana (ve l’avevo detto che c’è una Brasiliana? No? Bè, mi sta sul cazzo e questo è più o meno quanto). L’Algerino è disperso altrove. L’Hondurena visto che non spiccica una parola di Inglese è andata a Vienna per una settimana, magari il Tedesco le riesce più congeniale. L’Indiano se ne è andato e non ritorna più. Il Tedesco sta copulando con la sua ragazza (poichè ho scoperto che questa è la ragione per cui non è mai a casa). Il Belga sta copulando con la sua ragazza pure lui, probabilmente, visto che per qualche giorno è a Londra, con lei e mille altre persone. E io invece sono qui, con la piantina di basilico che il Belga mi ha pregato di curargli in sua assenza, come in una rivisitazione della scena finale di “Leon”, dove alla fine rimango da sola, io con la piantina. Che poi io nemmeno le so curare le piante e se non ci si crede, chiedete a mia mamma del genocidio botanico quella volta che i miei sono andati in vacanza per una settimana e mi hanno lasciato i vasi da innaffiare. Ho seriamente pensato che i miei mi avrebbero disconosciuta quella volta.

Le altre persone che conosco sono le ragazze del laboratorio e con loro sono uscita ieri sera. Alle cinque siamo andate al pub per “una birra”, che è diventata un’altra birra, che è diventata una cena, seguita da tre giri di sambuca e ancora una birra. Morale della favola, alle undici il pub ha chiuso e ci ha buttato per strada, che mai fu così difficile da percorrere anche se erano solo dieci minuti fino alla mia prigione. Oltre a non avere il senso della misura per l’alcool, devo dire che quelle ragazze mi piacciono. A differenza di molta altra gente che conosco attraverso il lavoro, non si prendono troppo sul serio, il che è sempre un valore aggiunto quando il tuo progetto di ricerca riguarda cose che nemmeno a quelli che lavorano nel tuo campo gliene potrebbe fregare di meno.

Questo è il mucchietto di persone che mi accompagnano in questa avventura. Certo, ci sono tutti gli altri, quelli che sono disseminati da qualche parte nel mondo e che di tanto in tanto mi mandano una e-mail con dentro un po’ d’amore sfuso.

E sono felice.

Inizio a sospettare che la ragione di questa estasi, la mia droga, sia questa possibilità che mi è stata data, quella di viaggiare. Una vita da semi-nomade. La vita in Svezia, quattro mesi di fuga in Olanda, un paio in Svezia e poi ancora in Inghilterra. Ogni volta che approdo in un posto nuovo ho la possibilità di ripartire da zero. Zero è un numero che fa un po’ paura però è il brivido che conta, che ti dà la scossa e ti fa cominciare. Ogni volta posso reinventarmi ed essere quello che voglio.

In Svezia, all’inizio, ero quella piena di buoni sentimenti, quella che fa-la-cosa-giusta e dio solo sa a quali terribili risultati ha portato tutta la mia voglia di correttezza.

In Olanda sono diventata Italiana, ho rispolverato un amore per la mia nazione e per le persone che ci vivono. Come ogni mio amore, anche quello per l’Italia è un amore mal riposto, mi pare di capire.

Qui sono una radical-chic che ognuno nel mondo si dovrebbe sentire in dovere di odiare, imparo di film che anche la mamma del regista si è rifiutata di vedere e il Belga mi legge le poesie decadenti mentre mangio gli involtini primavera, mia unica vera fonte di sostentamento.

Il problema è che non posso condurre una vita con la data di scadenza in eterno. Verrà il giorno in cui dovrò mettere la testa a posto, in un unico posto, e provare a rimanerci. Temo quel giorno e allo stesso modo lo aspetto curiosa, per vedere chi sarò allora e quanto detestabile sarò diventata. Per il momento mi godo l’effimera felicità di questa nuova vita, che tra tre settimane finirà in un secondo, proprio come è incominciata.

  1. lecosesuccedono

    Questo post, e i pensieri che descrivi, sono così belli e per certi versi familiari che vorrei stamparlo per ricordarmi che, quando penso queste cose, non sono poi così sola.

    🙂

    • Frou Svedese

      Questi mercanti di liquore non li conoscevo. Ho ascoltato la canzone e mi piace parecchio, anche se sto faticando a capire perchè dovrei imparare da chi non mi somiglia. Per capire che ho ragione io (come sempre :P)?

      • zubenELG

        E si proprio per quello! Se ti confronti sempre con chi è uguale a te, con chi ha la tua stessa opinione come potresti mai essere sicura che la tua idea è quella migliore?

    • Frou Svedese

      L’argomento lavoro lo uso per riempire i silenzi imbarazzanti con le persone reali e noiose. Comunque posso dire che lavoro nel campo della biotecnologia-ingegneria chimica. Ma non mi fare iniziare che se no divento una palla! 🙂

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