Infine. Finalmente.

Durante il film Dans la maison il ragazzo chiede al professore come dovrebbe essere il finale di un libro. Il professore risponde che la fine non deve essere nè ovvia nè troppo fantasiosa ma allo stesso tempo il lettore deve pensare: “sì, non sarebbe potuta andare in nessun altro modo se non così”.

In un finale circolare, citando Dans la maison da dove tutto è iniziato, racconto gli ultimi giorni di Albione (meglio tardi che mai).

Le puntate precedenti si perdono negli abissi di questo blog: in breve eravamo rimasti che io ero rimasta da sola ma tutto sommato serena ad Albione in attesa che il Belga tornasse da una vacanza di dieci giorni con la sua ragazza. Dal giorno del suo ritorno alla data mia partenza c’è sì e no una settimana.

Infine, finalmente, il Belga ritorna. Con lui c’è un naso bruciato dal sole delle bianche scogliere di Dover e un virus intestinale. La mia malefica pianificazione di uscite e eventi si vede fortemente rallentata dalla sua debilitazione fisica. E poi succede qualcosa che nemmeno il più infido degli sceneggiatori avrebbe potuto prevedere.

Io faccio un sogno.

Sono le ore appena prima del risveglio, quando i sogni hanno una parte di realtà e una parte di fantasia, e per questo rimangono impressi nella memoria anche dopo che ci si sveglia. Nel sogno c’ero io e qualcuno che mi baciava, con calma, come se avesse tutto il tempo di questo mondo e non dovesse fare altro per il resto dei suoi giorni. Era il ragazzo del tuffo di testa, la colossale sbandata che mi ero presa durante il mio tempo Olandese. L’ultimo fotogramma che mi ricordo nel sogno ero io che gli chiedevo: “Perchè sei arrivato adesso? Perchè ci hai messo tutto questo tempo?”.

Fine del sogno. Sveglia, giù dalle brande, con ancora nella memoria questo incontro del tutto imprevisto.

Passa un giorno e mentre il Belga continua a vomitare l’anima io sono da sola nella mia stanza. Il computer, così come il telefono, sono delle brutte bestie: fanno sì che le persone siano vicine anche quando non lo sono. Per prendere coscienza delle vere distanze dovremmo solo avere a disposizione carta e penna. Scrivo una lettera, la straccio, la riscrivo, la imbuco, aspetto con ansia che arrivi, sia letta, riceva una risposta. Ai giorni nostri invece c’è Skype, mannaggia a lui!, quindi aggirando l’ostacolo dello spazio-tempo, cedo ai miei fermi propositi illuministi che dicono che un sogno è solo un sogno, e gli scrivo. Scrivo una stronzata qualsiasi, ai limiti del senza senso. Cosa ancora più senza senso, lui mi risponde subito.

Iniziamo a scrivere, una battuta dopo l’altra, con lo stesso ritmo serrato dei bei tempi che furono e alla fine questi tempi che furono vengono ripescati, si apre un vaso di Pandora rimasto tanto tempo in disparte e lui mi dice quello che avrebbe dovuto spiegare sette mesi fa. Tu mi piacevi tanto ma la scelta era tra vedersi, piacersi e rimanerci malissimo quando te ne saresti andata o non vedersi e rimanerci male solo un po’.

E qui adesso avrei potuto iniziare una polemica infinita su rimanerci male/malissimo/malerrimo, giochi che valgono le candele, razionalità vs. incoscienza anche a 20 anni e passa, scuse di merda che potrebbero celare altre verità. Invece, contro ogni previsione e contro ogni logica rispetto a quello che mi aveva appena detto mi chiede: “Ci vediamo?”.

La domanda mi coglie impreparata, glisso, rispondo vaga e scherziamo riguardo viaggi attorno al mondo per incrociarci. Ci avrei pensato un po’ su, come quando provi un vestito e dici alla commessa che ci pensi ma tu lo sai che andrai a guardare cento altri vestiti e poi ritornerai a comprare quello.

Quella notte, per una misteriosa legge del contrappasso non ho dormito, pensando a dove e come ci saremmo potuti vedere, ma soprattuttoa tutti i perchè. Perchè dopo mesi questo se ne esce dal nulla così propositivo, sicuro come non fu allora. Perchè io avrei dovuto imbarcarmi in un’impresa del genere, le cazzo di distanze, skype, i pochi idilliaci giorni al mese che non sono nemmeno lontanamente uno spaccato della realtà. Perchè sì, perchè non sempre serve una buona ragione e nemmeno una ragione, perchè le cose si fanno di pancia e basta.

La mattina dopo, stremata da una notte a fantasticare, incontro il Belga in cucina che chiede l’unica cosa che non avrebbe dovuto chiedere: “Dormito bene?”. La deprivazione da sonno mi rende sempre molto sincera e lì su due piedi gli racconto tutta la rava e la fava, il fatto che io ci dovrei pensare, ma è molto più sì che no. Lui ascolta divertito, lo hanno sempre interessato i miei piccoli psico-drammi. Gli dico che in questo momento non sono particolarmente critica quindi lui ha tutto il diritto di dire che sto facendo una cazzata. Dice che non ha grande esperienza in merito, che non è detto che deve andare per forza tutto bene, magari dopo un giorno le cose prendono una brutta pige, però non sa bene cosa consigliare. Dev’essere mattina pure per lui, anche se ha dormito.

Siamo ormai agli sgoccioli di Albione, climax ascensionale prima dei titoli di coda.

Negli ultimi fotogrammi ci sono io che penso, io che comunico le mie decisioni (via skype), io che prenoto voli, treni e tutto il resto. Con un po’ di tremarella e con mille ore di sonno arretrato. Io che pianifico un viaggio, che lo cambio, lo ripianifico e infine confermo.

Negli ultimissimi fotogrammi ci sono io che esco a cena con il Belga in un ristorante con la luce soffusa, e ridiamo, parlo dei fatti miei senza troppi pudori e lui a me, la candela sul tavolo, la grande finestra che dà sulla strada. Non posso fare a meno di estraniarmi per un momento dalla conversazione e immaginare un passante che ci guarda da quella grande finestra. Se avessi chiesto al passante “ma secondo te io e quello lì cosa siamo?”, lui avrebbe probabilmente detto “due che escono inseme”. Quella sera al ristorante c’era un’altra coppia, parlavano a stento, non sorridevano e nemmeno ci provavano. E noi invece ridevamo, oh se ridevamo.

Le cose non sono sempre come sembrano. Chi non si parla e si ama (forse). Chi è complice e non compagno. Chi ti vuole e non lo dice.

Quando mi ha salutato l’ultima sera mi ha abbracciato così forte che pensavo mi sarebbero saltate un paio di vertebre. Era un abbraccio sincero e penso che nessuno mi abbia stretta così forte prima d’ora. Ognuno per la propria strada. Non so la sua, ma la mia non sembra così brutta.

Titoli di coda.

Ciao Albione. Ciao.

  1. HappyAladdin

    Con la colonna sonora lì sopra, questo scritto è davvero perfetto. Io credo sempre che valga la pena di sondarle, le strade. Ci sono tante vie di mezzo tra il mettere da parte gli schermi razionali autoimposti e il buttarsi a capofitto dimenticando di avere un cervello. Non sembra, ma ci sono. In bocca al lupo! 😀

  2. zubenELG

    Eh si, davvero non serve una ragione. Le occasioni vanno colte quando si presentano e se non è stato sette mesi fa, magari è adesso il momento giusto. La mia mente cinematografica suggerirebbe a questo punto la visione di Personal Velocity, per il resto… Buon viaggio! 🙂

  3. superbalduz

    Io dico che vale sempre la pena di tentare…preferisco sbattere il naso piuttosto che rinunciare a priori per paura che vada male, non voglio poi avere il rimpianto di essermi ritirata senza provare a conquistare ciò (o colui) che desidero. Sarebbe come vivere da malati per morire sani! Se ti può confortare sono in una situazione simile (ma credo con molte meno speranze di successo), lui che si fa vivo su whatsapp (che comincio a odiare!!) dopo 7 mesi di silenzio, ogni tot giorni una foto di tramonto o simile, una faccina sorridente e niente di più, un “ti voglio bene” che non si capisce se sia vero o falso…io sto sulle mie, ma se dovessi giocarmela di nuovo credo che non mi tirerei indietro…tienimi aggiornata sugli sviluppi!!

    • Frou Svedese

      Si vede che è la primavera, gli ormoni, la demenza in generale… Non mi parlare di whatsapp che non l’ho mai usato tanto come in questo periodo. Io che non sapevo nemmeno come mettere una foto per il profilo di whatsapp fino a un mese fa.
      Fammi sapere, anzi, mandami un messaggio su whatsapp con i tuoi sviluppi! 😉

  4. Pingback: Hey, that’s no way to say goodbye | Appartamento Svedese
  5. River

    Good article, I think for those unlasiobce businesses whose employees are not on social networks for example. The company could use social media as a method of customer service, so for queries and little issues similar to how O2 do it but on a much smaller level.

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