Si va
Il fatidico fine settimana è passato. In realtà è passato da quasi otto giorni, sono io che ho impiegato un tempo incredibile a rifarmi viva qui su questo spazio.
Il fatto è che mi ci è voluto un po’ di tempo per riprendermi dalle ore di sonno perdute e rielaborare quello che è successo e poi, forse, scriverne qui. Non mi dilungo in dettagli, non mi va. Un po’ per pudore (sì, uno scrive un blog personale e poi dice che ha del pudore!) e un po’ perchè rifuggo le cose smielate come fossero il male assoluto e io sono certa che scriverei cose che farebbero venire un picco glicemico che insulina in vena per tutti!
Il fine settimana è stato un buon fine settimana. Più che buono è stato normale, come se non ci fosse niente di più ovvio al mondo che io e lui fossimo insieme, come se lo avessimo sempre fatto. Dall’alto della mia poca esperienza, credo che non sempre sia facile andare in sincronia con qualcuno, soprattutto se si dividono spazi piccoli e tempi lunghi. Ok, abbiamo avuto qualche problema con il sonno, io ho dormito poco, ma mi succede sempre quando sono contenta. Come quando mia mamma mi veniva a svegliare la mattina in cui si partiva per le vacanze, sempre con la stessa frase “Frou… SI VA!” e io ero già in agitazione sotto le coperte da prima che lei varcasse la porta.
L’ho guardato dormire per ore, aspettando che aprisse gli occhi e mi dicesse anche lui “si va!”.
Ok, si va. Ma dove?
Si va a casa, dopo i pochi giorni inseme, con un’alzataccia alle prime luci dell’alba (Svedese). Dopo averlo salutato, male e di fretta perchè il tempo era poco, e un po’ di tristezza mi è salita sulle spalle.
Si va di nuovo? Si va, si va… O almeno si andrebbe. Cioè, io andrei, tu?
Il problema dei giorni normali che abbiamo passato insieme è che tutto era così quotidiano che non ho nemmeno voluto azzardare un discorso sui massimi sistemi di quella che potremmo definire una relazione, intendendo come tale la coesistenza di due persone in uno spazio-tempo definito, non necessariamente lo stesso spazio, lo stesso tempo si spera. Dopo un centinaio di ore insieme non si può chiedere, allora tu come la vedi? Te la senti? Certe cose non si possono chiedere, o meglio non si dovrebbero chiedere.
Qualche volta bisogna crederci, avere fede. E gli scienziati per crederci hanno bisogno di segni tangibili, mica di madonne che piangono e ologrammi avvistati alle pendici di un monte. Ci sono segni piccoli ma che si vedono ogni giorno e che fanno sperare in bene. O meglio, fanno sperare in normale. Poi ci sono i momenti di paranoia, in cui anche tutti i piccoli segni raccimolati nel corso della giornata non bastano e credo che da un momento all’altro tutto il castello di carte costruito fino ad ora, così come è stato eretto nel corso di una serata, possa crollare, senza preavviso, come se ne è venuto. Sono momenti in cui la fede viene a mancare, dicono che sia normale quelli che sono abituati a questo genere di cose.
Ma io, per ora, ci credo.
Io tifò per voi
Davvero
Tutto lo stadio!!! 🙂
Crederci, qualche volta, è la sola cosa giusta.
Un abbraccio
E qui ci crediamo!!!
In un modo diverso (e più spudorato, forse) sento molto affine questa sensazione di perfezione e di ‘tutto è come deve essere’ mista alla percezione di catastrofi imminenti. Crederci certe volte è faticoso. Però che dire, con le cose facili non si costruiscono i castelli (quelli veri, non quelli di carte). Ti abbraccio
Se fosse troppo facile non ci sarebbe quasi gusto, o no?
Incrocio le dita per te!
Se ci credi decidi di giocare tutte le carte, e secondo me fai benissimo. Anche io a volte sono titubante, e non poco, però ogni tanto è bello avere fede e non chiudere le porte. Proprio perché, ti potrebbe portare dove non te l’aspetti. O almeno così dicono le persone che hanno fede.
Un grande in bocca al lupo ad una delle mie eroine del web 🙂
Questi che hanno fede sono gente strana…
Grazie per l’incoraggiamento, vicino di casa! 😛