Una fisarmonica e i tetti dai camini alti e il sacro cuore. E poi.

Questa è la scena con cui ho salutato Parigi (e te).

Ero sulla RER in direzione dell’aeroporto e questa volta, come la precedente, mi ha preso un po’ di malinconia quando ci siamo salutati. Sul treno c’era un mendicante che suonava una melodia con la fisarmonica e la carrozza riaffiorava dalla galleria, con Parigi che sfilava fuori dal finestrino.

C’erano i binari del treno e i fili che come onde si muovevano su e giù. Palazzoni alti e sottili, con camini a gruppi di tre o quattro che affollavano quei tetti dalla forma che non so spiegare ma che si vede solo a Parigi.

A un certo punto dalla selva dei palazzoni, in mezzo a due caseggiati marroni, si vede la collina di Montmartre e il Sacro Cuore.Da lontano e in mezzo a tutta quella desolazione è ancora più imponente rispetto a quando ci sei dentro e vedi tutta Parigi (ma non la Tour Eiffel).

A vederlo così mi è sembrato tutto ovvio: non siamo altro che un’isola di cose belle in mezzo a tutto il resto, dozzinale e indistinguibile.

Volevo fare una foto, per ricordarmi di quella sensazione, per averne una prova visiva. Ma quando ho finalmente trovato il telefono in un angolo nascosto della borsa era troppo tardi. Il Sacro Cuore era sparito di nuovo dietro ai palazzi e il momento era passato. E il tempo è poco, quasi insufficiente per capire cosa sta succedendo, troppo poco quasi per farne un ricordo.

E poi.

E poi non so cos’è successo. Giorno dopo giorno tu hai fatto un passo indietro, detto una parola di meno. Fino a quando sei scomparso per poi riapparire ora. Sei sfuggente, o meglio sfuggi e basta, e quando ti chiedo delle spiegazioni mi dici che hai degli impegni e io non voglio delle spiegazioni scritte in un fumetto. Le voglio sentite dire da una voce vera.

Non devono essere spiegazioni buone, non ci deve essere per forza un buon motivo, ma voglio capire. Hai visto che verbi uso? Dovere e volere, e non al condizionale. Perchè se ancora non ti era chiaro, sono una che non lascia le cose incompiute. O meglio non lascio certe cose incompiute. Oggi, più che ieri, grazie a degli incontri casuali che ti fanno aprire gli occhi, so che tu sei una di quelle certe cose per cui è necessario sporcarsi le mani, è doveroso sporcarsi le mani. Mi sembra di non aver dato tutto il possibile, di non essermi messa dentro a questa storia mostrandomi completamente. Sono stata sincera ma non trasparente, sono stata carina ma non brillante.

Il problema è che quando ti parlo ancora balbetto e le parole a volte mi escono un po’ stropicciate e per una settimana prima di ogni incontro mi sveglio all’alba e non riesco più a riaddomentarmi. Forse è per questo: perchè quando ti vedo sono in debito di sonno e a volte fatico a mettere una frase insieme, che diciamocelo, non sono proprio degli ottimi presupposti.

Non voglio forzarti di fare quello che tu non vuoi, se non vuoi, ma io sono pronta adesso e voglio farlo e devo.

Perchè tu sei diverso, in mezzo a tutto questo ciarpame, dozzinale e indistinguibile.

 

 

(La prossima volta che mi trovate a scrivere robe melense di questo genere siete autorizzati a spararmi a vista)

  1. HappyAladdin

    Oh, oh. Sulla pelle sento quello che dici, ho quasi visto Parigi. So che non serve, in questo momento, e che a darsi una spiegazione aiuta tutto, ma credo che la sensazione di non aver fatto abbastanza, dato abbastanza, mostrato abbastanza sia più che altro un bug del cervello. Penso fortissimamente che se non mostri tutta te stessa ma c’è davanti qualcuno che vuole capire, può capire. E se non ci riesce da solo può scavare, cercarti. Lo dico con un po’ di leggerezza fatalista e un po’ di malinconia. Però magari è solo una questione di tempi, percezioni diverse. Lo spero, e ti abbraccio. (Scusa lo sproloquio).

  2. superbalduz

    Eh già. Questo post mi appare così familiare, visto che, come sai, sono anch’io in fase di cose che de-succedono. E mi chiedo perché debba essere tutto così complicato. Io ragiono su un sistema binario, on-off. Mi vuoi? Prendimi. Non mi vuoi? Dillo chiaramente e levati dalle palle. Non è difficile, è molto più macchinoso essere sfuggenti e galleggiare a mezz’acqua, né in superficie, né sul fondo. Che fatica, le strategie. E alla fine sto imparando (a forza di sbattere il muso su messaggi insulsi e temporeggiamenti vari) che chi ti vuole, non indugia. E chi ha più paura di averti che di perderti, si merita di perderti. E penso, sai cosa sarebbe bello? Che mentre lui é lì che cincischia e temporeggia, arrivasse un altro che mi dice: ti voglio. Subito. E quindi ciao, temporeggiatore, hai perso il treno. Tié! Ecco, come vedi non sei la sola a barcamenarti fra mille punti interrogativi! Non mollare, amica mia!

    • Frou Svedese

      Quando ho letto il commento qualche giorno fa ho pensato che no, non c’è solo il bianco e il nero ma centinaia di migliaia di sfumature di grigio. Illusa. Hai ragione tu, l’ho sempre pensata come te: o sì o no; o mi vuoi o ciccia. Ma si sa che gli ormoni annebbiano il cervello e addio buon senso. Adesso sono tornata sulla retta via binaria e non mi aspetto niente, magari uno un po’ meno indeciso la prossima volta.
      Un abbraccio e in bocca al lupo a te!

  3. Pingback: La cosa seria | Appartamento Svedese

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