Det fixar sig
Qui in questo paese lo ripetono sempre: “det fixar sig, det fixar sig”.
Si aggiusta da sè, stai tranquillo, non c’è da preoccuparsi.
Don’t worry ‘bout a thing ‘cause every little thing is going to be alright.
E io non mi preoccupo, o almeno cerco di non pensarci troppo a come andrà finire.
È meglio pensare all’inizio.
All’inizio è bastata una chiacchiera in coda per una birra e un chilometro sotto la pioggia, sotto lo stesso ombrello, che aveva già sbaragliato ogni concorrenza. E per capire dove sarebbe andata c’è voluto solo un incontro in mensa, che quando l’ho visto da lontano arrivare verso di noi, prima con un sorriso e poi con una linguaccia, sentivo le guance riempirsi di un caldo infantile e innegabile. Infine con un lavoro di sguardi e gentilezze durato il tempo di una sera, le intenzioni sono state messe sul tavolo. È stato fin troppo facile.
All’inizio dovevo fare attenzione per trovare le famose sette differenze con quello di prima. Dottorando in una città non sua, dalla quale partirà presto, incontra dottoranda. La materia di studio è la stessa, certe passioni pure, certe uscite anche. Veniva da chiedersi se non stavo per entrare in una storia già vista solo per togliermi di dosso una volta e per tutte i fantasmi di quella di prima. Ma non è la visione d’insieme quella a cui si deve prestare attenzione, bensì alle differenze. E le differenze, nonostante il (poco) tempo per cercarle, sono tante.
Fa male ammetterlo, ma era da tanto che non avevo attorno qualcuno che ci tiene così. Ho fatto due conti, quando dico “tanto” credo di intendere almeno sei anni: c’è da tornare indietro per una serie di storie più o meno senza senso, ammesso che anche questa uno ce l’abbia, per trovare qualcosa di paragonabile. Ci vuole una certa strategia per infilarsi sistematicamente in relazioni in cui lui è coinvolto per il tempo funzionale a fargli avere qualche mero tornaconto. Mi ero dimenticata come ci si sta bene in un paio di braccia più lunghe e due mani più grosse. Che a lasciarsi stare un po’ lì dentro ripenso a tutti questi anni in cui l’ho svangata sempre da sola, contando solo su quello che avevo io, non uno di quei lui, e riprendo fiato da quella fatica.
È successo tutto così in fretta che gli ho dovuto spiegare il perchè delle mie ragioni e della mia scelta, per lui. Dico che mi ha colpito da subito, come mi succede sempre in questi casi. Lui con uno sguardo candido, con quell’occhio di due colori, mi dice che non gli era mai capitato di aver fatto colpo su qualcuno al primo incontro. Rido e non so se crederci. Penso alla mia miopia galoppante, se oltre che alle cose lontane mi sta impedendo di vedere anche quelle ben vicine o se ho acquisito chissà quale super potere, uno sguardo ai raggi X che va oltre le superfici.
Come ogni storia che si rispetti deve esserci un però.
Però lui partirà a fine mese. E se non fosse già troppo poco un mese per conoscersi, io partirò una settimana prima di lui per le mia vacanze, improrogabili causa impegni familiari da compleanno (non mio) con uno zero in fondo, a meno che Paolo Conte non decida di spostare il suo concerto di una decina di giorni.
Ho sempre saputo che se ne sarebbe andato, presto o tardi. Quando ho saputo la data con esattezza però ho sentito il dovere di mettere le mani avanti, ho dettato delle regole. Una parte più razionale di me ha preso il comando e ha ricordato al resto di tutti i voli pindarici (e non) dell’anno scorso, di quella grossa delusione che è la precedente relazione, di cui vorrei dimenticarmi e che invece a volte mi sembra un replay di questa. Questa parte razionale, mi ha fatto dire agli stessi occhi di due colori, che non sapevo se ci sarei stata dopo la sua partenza, ho raccontato per sommi capi le mie ragioni, gli ho fatto vedere qualche cicatrice. Lui non si è scomposto, mi ha fatto vedere le sue cicatrici, simili alle mie, forse più profonde. Dice che è tutta una questione di volontà, e lui quella volontà ce l’avrebbe, nonostante tutto quello che gli è già successo prima.
Di recente ho detto che fissare delle regole è il primo passo per infrangerle.
Manca meno di una settimana.
In ogni caso, si aggiusta tutto.
Beh intanto mi sembra una cosa bella.
E le cose belle non vanno rovinate con troppe paure.
E poi, se il “partirà” è riferito a un posto in Europa, non mi sembra un “doversi aspettare”, mi sembra che si possa anche continuare.
Come viene viene, anche senza regole (anzi, soprattutto senza regole) che se ti piace stare dentro quelle braccia lì e quelle mani lì mica è detto che tu ci debba rinunciare, no?
Io cambierei le date di viaggio e mi incontrerei da qualche parte 🙂 Comunque “Funny how something you just find things…”
Ci lavorerò su. Credo.
E sì, strano come le cose capitano, in una fortunata serie d’eventi.
concordo con gatto 🙂
Meglio un “partirà” di un “doversi aspettare”? Non so se c’è un meglio e un peggio.
In ogni caso canticchio Bob Marley e il sole tramonta a mezzanotte e sorge alle tre. Non c’è niente di cui mi possa lamentare.
Che bello Frou! Ma tanto non dovevi cercare un altro posto di lavoro? Lui parte, tu devi partire… Come si dice quando tutto si interseca? Citando “Sleepless in Seattle” sarebbe il triangolo delle Bermuda, ma immagino che lui non sia Tom Hanks 😉
Per cui un abbraccio di in bocca al lupo!