Etichettato: Albione
Finestre
Avevo lasciato il post precedente in sospeso, avevo voglia di scrivere di cosa mi fa(ceva) stare così bene. Avevo superato le mille parole per raccontare del Tunisino e decisi di non accozzare argomenti diversi, ripromettendomi di aggiungere un capitolo successivo quanto prima.
Eccolo qui il capitolo, con un finale a sorpresa.
Nel mio bestiario degli abitanti delLa Casa avevo fatto un accenno a un Belga, descrivendolo come l’unica persona normale in questa casa (o almeno l’unico che sembrasse una brava persona e con cui si poteva avere una conversazione). Ma questo era dieci giorni fa. E di acqua, da allora, ne è passata sotto i ponti.
da allora, gli incontri con il Belga si fanno sempre più frequenti: ceniamo più o meno alla stessa ora, lui prima io dopo, e per questo di solito si siede con me e chiacchieriamo mentre cucino e mentre ceno. Magari dopo prendiamo un te. Magari chiacchieriamo ancora un po’. Litri di tè, fiumi di tisane.
Dopo l’ennesimo tè mi chiede se voglio andare a vedere un film con lui: l’appuntamento è venerdì sera. Che io non avevo capito se era un appuntamento. Se qualcuno in età da marito mi chiede di andare a vedere un film con lui cosa devo pensare? In realtà, a quel giorno la cosa che più mi preoccupava era il suo orientamento sessuale: innanzitutto ero determinata a scoprire se fosse gay o meno.
Siamo al cinema e durante i trailer (tempo in cui ridacchiamo facendo commenti) passa il nuovo film di Ryan Gosling, lui mi chiede se ho visto Drive. Ammetto che non l’ho visto e aggiungo sorniona: a differenza di molte ragazze non ho visto tutti i film con Ryan Gosling, per i miei gusti non è un gran meraviglia. La risposta è stata: se fossi una ragazza, neanche a me farebbe impazzire. Colpito e affondato.
Guardiamo il film, bello, piacevole, e poi andiamo per una birra. Mi porta in una bettola con i tavoli sporchi, che avevamo deciso essere uno standard imprescindibile per la scelta del bar, e beviamo una birra a un tavolo d’angolo accanto a una finestra. Non c’è musica nella sala ma non ci importa, non ci sono momenti di silenzio. Lui non appoggia la schiena alla panca, ha i gomiti al tavolo, la schiena in avanti e mi parla guardandomi negli occhi, sorride. Io faccio più o meno lo stesso, le mani attorno alla bottiglia di birra, le spalle in avanti. Dopo due birre e una breve passeggiata mi accompagna a prendere un taxi mentre lui inforca la sua bici per arrivare a casa. Io arrivo per prima, ovvio. Ma dopo due minuti mi arriva un messaggio: è lui.
La giornata successiva lo vedo solo a sera, ancora ceniamo insieme e lui dice che deve finire un lavoro e che andrà in camera a scrivere. Dopo un’ora un messaggio: è ancora lui. Mi invita per una partita a biliardo. Due partite a biliardo, discorsi semi-seri sui vegetariani, i poster della sala comune e politica. Si è fatto tardi e torniamo a casa.
Domenica lo vedo appena tornata dal mio giro di spese, mi aiuta a sistemare le nuove stoviglie che ho comprato e, ovviamente, ceniamo insieme.
Lunedì, ancora ceniamo insieme. Con noi c’è l’Italiano, che probabilmente non ci può soffrire entrambe, si siede in disparte e prende la porta quanto prima, lasciandoci soli, giusto in tempo perchè mi inviti ancora al cinema per la sera successiva. Questa volta andiamo a vedere un film molto triste (non bellissimo, non bruttissimo, un film triste però) e alla fine siamo tutti e due un po’ provati e decidiamo di camminare a casa, anche se ci vuole un’ora e io ho il computer di lavoro ancora sulle spalle e lui ha una bici. Riparliamo del film, di come io avessi preso in antipatia il protagonista, non gli racconterò che mi sembra l’ex partner di mia cugina; parliamo di tatuaggi, di quelli orribili come l’Hello Kitty di una ex di un mio amico e lui mi dice “Aspetta di vedere il mio!”. Non lascio cadere questa uscita e incalzo chiedendo una descrizione. Se ne esce con una battuta: se fino ad adesso ero abbastanza confusa riguardo al nostro rapporto, adesso inizio ad essere diversamente confusa. Cambiamo argomento e parliamo di storie d’amore, lui mi racconta di quando da bambino andava in bicicletta a scuola con una ragazza bellissima, e del suo amico che pedalava con loro dal paese successivo, che si innamorò della ragazza bellissima e che, ad oggi, sono ancora insieme. In questo turbine di buoni sentimenti rilancio con la storia della mia coinquilina e dell’edicolante (ah, ma questa ve la racconto tra un paio di mesi!). Ridiamo, lui mi prende in giro perchè il mio ufficio è senza finestre, mi passa una mano sulla schiena e mi promette di regalarmi una finestra il giorno successivo.
A casa lo invito per un tè, l’India ha ormai finito le scorte con tutto il tè che ci siamo bevuti!, e continuiamo a raccontarci di quando abbiamo preso la patente e di come lui non sappia guidare. Aggiunge che è un po’ preoccupato per il prossimo fine settimana perchè ha noleggiato una macchina per fare un giro nel sud dell’Inghilterra.
Con la sua ragazza.
Toc.
Toc.
Rumore di braccia che cadono.
Sento una scossa elettrica che parte dal fondo della mia pancia e sale su. Faccio uno sforzo per non cambiare espressione e continuare a sorridere come se nulla fosse, anche se sono certa che per un millisecondo lo stupore ha avuto la meglio, non sono mai stata capace di tenermi le emozioni per me. Nonostante tutto riesco a ribattere, faccio qualche domanda in cui lui si deve dilungare a rispondere, mentre io ho tutto il tempo per raccattare le mie braccia, riattaccarle e continuare dalla mano sulla schiena, dal tè, dai racconti della patente. E’ passata ancora mezz’ora, non ci sono più stati riferimenti alla ragazza, solo un nostro davanti alle parole amico in comune che li aspetta a Londra.
Ci salutiamo e vado in camera, basita. Non era amore, non era nemmeno un calesse. Era solo che mi ci ero abituata all’idea che ci fosse qualcuno e qualcosa che mi facesse tornare a Casa con un sorriso.
Oggi abbiamo cenato ancora insieme, era contento per i commenti positivi che ha ricevuto dal suo capo e per un regalo che un suo amico gli ha mandato dal Belgio. Con mio sommo stupore, gli ho sorriso, davvero, ancora. Continuo a non capire cosa sia successo: troppa ingenuità da parte sua, castelli in aria da parte mia, una combinazione delle due o niente di tutto questo. Va bene così, avere qualcuno con cui posso parlare di tutto e ridere di gusto è già molto di più di quello che altri non hanno. Anche se.
E comunque, stamattina, una finestra per il mio ufficio fatto di quattro mura me l’ha regalata davvero.
In the house
Notiamo l’albinoicità (o albionicezza) di questo contributo video, please.
Diciamo anche che riferimenti a fatti o persone reali continuano ad essere puramente casuali. Casualissimi, direi. Pure il titolo è proprio casuale, perchè io non ho visto un film che si chiama così, no. E il film che non visto non parla di cose che accadono in una casa (o in più case a dire il vero, ma che ne so io se non l’ho visto!), o forse non succedono, e se succedono sono cose che fanno accapponare la pelle. Visto che io il film non l’ho visto magari ve lo vedete voi, questo qui.
Lascio da parte il film (o forse no) e ritorno a parlare della Casa. Il conto dei coinquilini aumenta di un’unità fisica più una paranormale.
Il Tedesco è un ragazzo più basso di me, senza collo, che parla con un accento che nemmeno il dietologo di Fantozzi. Nonostante questo sia stato presente nella casa da due settimane l’ho visto solo una volta ed era di fretta perchè stava uscendo, ça va sans dire. A giudicare dalle due parole scambiate sulla porta sta vivendo i giorni migliori della sua vita e dormire gli sembra uno spreco di tempo, e come dargli torto! Se ho capito bene se ne va tra poco, quindi non affezionatevi al personaggio.
L’Indiano non l’ho mai visto ma so che c’è. Il Belga ha sentito nenie mugugnate alle ore più improbabili del giorno e della notte e io ho visto la luce della sua camera accesa all’una di notte di Sabato. La stessa notte sono stata punita per aver visto quelle luci perchè una serie di rumori inconsulti provenivano dalla sua camera, tipo un mini trasloco, alle 6.30 di mattina. Ho anche sentito i suoi passi mentre ero in bagno. Tra le passioni dell Indiano, a parte i traslochi e la meditazione sul fuso orario di Nuova Dehli, annoveriamo la micologia vista la coltivazione di muffette nel suo barattolame in frigo.
Nella casa altre cose stanno succedendo, come quel pasticciaccio brutto con l’Algerino.
Lo incontro sabato mattina all’una, mentre io mi preparo una pasta lui fa colazione perchè la sera prima ha fatto tardi con i suoi colleghi e mangia dei biscotti al cioccolato che hanno un profumo così intenso che quasi mi fanno passare la voglia per i miei tortelloni con il sugo. Mentre io mangio lui mi fissa e qualche volta mi parla. Tengo la conversazione viva pur di non cadere in un imbarazzante silenzio e come mio solito finisco a raccontare di dettagli della mia giornata che annoierebbero chiunque. Non lui però, che quando racconto di come voglio fare la laundry ha un guizzo e realizza che prima o poi anche lui dovrà lavare i suoi averi. Ci salutiamo sul pianerottolo e io mi metto a preparare il mio bagaglio di lordura, tre borse della spesa di sudore e microbi. Quando esco dalla stanza con il mio fardello lui esce in sincrono dalla sua stanza che manco i tuffatori Cinesi e mi dice: vengo a fare la laundry pure io!
Ma ce l’hai la scheda per le lavatrici? Ce l’hai il detersivo? No, lui ha solo mezza borsina di panni vari e un tempismo perfetto. Andiamo, lo aiuto, gli presto il prestabile e facciamo partire le lavatrici: io scelgo il programma “delicati” e lui dopo un’attenta valutazione delle opzioni della lavatrice e della gamma cromatica dei suoi panni preme per “colorati”. Questo mi regala un buon quindici minuti di vantaggio sul suo programma, che significa che non dovremo più venire insieme a scaricare e caricare l’asciugatrice. Ah, sì perchè dopo la lavatrice si fa l’asciugatrice, dico io. Ma qual è l’asciugatrice?, chiede. L’asciugatrice è quella con su scritto asciugatrice, Monsieur Lapalisse. Ma le cose escono già stirate dalla asciugatrice?, incalza. Se l’asciugatrice è una di quelle buone riattacca anche l’etichetta con il prezzo e i capi sono come nuovi.
Dopo questa surreale conversazione realizzo che forse il suo fissare e il suo seguire e il suo coordinarsi altro non erano il frutto di una mamma che gli ha fatto il bucato fino ad oggi e la necessità di una mamma-bis che lo introducesse nel magico mondo di cestelli e centrifughe.
O forse no. Perchè dieci minuti dopo avermi fatto cadere le braccia con quella domanda sull’asciugatrice bussa alla mia porta e mi chiede che programmi ho per il giorno a seguire. Io, come uno scolaretto colto a rubare la merendina al vicino di banco, abbozzo. Forse, voglio andare in una città che comincia con L a fare un po’ di compere, forse. Ok, allora se vuoi posso venire anch’io, dice lui. Sì, ma tu ci sei già stato in quella città che comincia con L, non è un po’ noioso quando hai mille altri posti in cui poter andare? No, a me è piaciuta L, questo fine settimana volevo andare a N in realtà ma io ci torno pure a L! Ma guarda che io sono un notevole piede nel culo quando vado a fare shopping, forse è meglio se vado da sola. Cioè, se vuoi puoi venire a L poi però io vado a fare le mie commissioni da sola. Insomma, abbi pazienza, ci penso e ti faccio sapere se davvero ci vado a L.
Alla fine a L non ci sono andata, un po’ per non dover lasciare a casa il porta borse o per non dovermelo tirare dietro controvoglia. Ho fatto le mie spese, ho mangiato la mia torta, bevuto il mio tè e pensato che alla fine qui non è poi così male. Ma se lo penso non è per merito dell’Algerino, oh proprio no!
À suivre…
Le mie prigioni
(Johnny Cash era più figo quando era Joaquin Phoenix, comunque)
Un primo aggiornamento dalla terribile Albione. Che a chiamarla Albione ci ho preso gusto e se il tempo è dalla mia vorrei quasi fare un salto a vedere il vallo di Adriano, giusto per dare un tono ancora più epico a questa calata nel Regno Unito.
Scrivo per descrivere dove sono e cosa sono, a futura memoria.
La casa in cui alloggio ha conquistato in cinque minuti al massimo lo pseudonimo di prigione. La mia cella camera è un cubotto di 9 metri quadri, con lato 3 per 3. L’arredamento può essere descritto come spartano, con un eccesso di generosità verso Sparta e i suoi usi, ed è dotato di un lavabo in camera. La turca in camera, come nelle migliori prigioni di Caracas non c’è, mi devo fare un piano di scale per arrivare al primo pisciatoio disponibile. Le pareti sono bianchine, una fa eccezione ed è grigina, la porta è grigia e il copriletto in comodato d’uso è azzurrino. Per terra, nella mia camera e ovunque, moquette. Moquette a spruzzo. Scale coperte di moquette, uffici universitari con la moquette, moquette con macchie dei secoli nei secoli amen.
Poi io ce l’ho sempre avuto qualche problema di relazione con la moquette, forse per copla di mia madre che mi lanciava anatemi di micosi e altre malattie appena mi azzardavo a camminare senza ciabatte in un albergo (con la moquette, ovviamente). E forse proprio per la sovraesposizione da moquette, a me questa nuova casa ha destato qualche sospetto fin da principio.
Quando arrivai, all’alba di Lunedì!, iniziai a dare un’occhiata in giro (dopo aver scoperto la miserrima dotazione della mia camera). Una vasca da bagno (roba che non vedeva dal 1997), un water, una doccia, un altro water, dieci porte che danno su altrettante stanze e una cucina in cui, fatta eccezione per un bidone dell’immondizia semi pieno, non si scorge traccia di passaggio umano. Apro il frigo per cercare di capire le abitudini alimentari degli autoctoni, e soprattutto, se gli autoctoni esistono. Il frigo è quasi pieno, ci sono bigliettini con i nomi su alcuni ripiani. Ad oggi, coloro che hanno apposto il nome sul cibo non sono ancora stati avvistati. Probabilmente se scrivi il tuo nome e lo metti in frigo morirai dopo sette giorni.
Con il passare dei giorni, sporadicamente, è stata avvistata un po’ di umanità varia, che vi vado a descrivere.
La cinese. Ogni casa condivisa che si rispetti ha una Cinese, che come tradizione parla un Inglese demmerda. A differenza mia, lei sembra apprezzare il comfort della sua cella, tanto che una volta cucinato il pasto corre a mangiarselo in camera. Spesso ho l’impressione che mi dica di sì ma non capisca davvero quello che dico.
L’algerino atipico. Questo mi ha fatto un agguato mentre io ero sulla via per il bagno. Volevo andare a fare la pipì tantissimo e non appena chiudo la porta, ecco che si apre la porta in fronte alla mia: “Ciao, ho sentito qualcuno e volevo vedere chi era!”. Per la serie: chi sei? dove vai? un fiorino! Dopo una sosta in bagno ci sediamo in cucina per fare due chiacchiere. Dice che è Algerino, anche se i tratti nord Africani non ce li ha proprio, ma visto che io sono ignorante come una capra sospetto che ci sia qualche influenza colonica nella sua stirpe e non do peso alla vicenda. Questo suona in un gruppo di musica andalusa (WTF?!) e dopo dieci minuti che parliamo mi sta già troppo addosso: domani mattina andiamo insieme in Università, ci iscriviamo insieme in palestra, andiamo a fare la spesa insieme. Ragazzo, se vuoi possiamo anche sincronizzare i nostri respiri e poi siamo una cosa sola: dammi spazio! Con mia somma sorpresa, dopo avermi promesso sincronia eterna ha metodicamente mancato ogni appuntamento che avevo proposto, nonostante una certa riluttanza nel proporre tali incontri. Ciò nonostante, quando Mercoledì sera ho rincasato alle 11 mi è venuto a bussare alla porta chiedendomi dove ero stata. La più grande canottiera del secolo: non stare addosso!
L’hondureña. Questa più che una coinquilina è un personaggio mitologico. Apparsa due volte in cucina, manco fosse la madonna del monte, con una tazza di plastica in mano si scalda un po’ d’acqua e se ne va. Il suo Inglese è talmente terribile che mi stupisco che sia sopravvissuta in questa nazione per due mesi. Mossa a pietà e per la mancanza di comprensione anche per le domande più basilari (tipo, in che stanza sei? Lei risponde, Sì, mi prendo un po’ di acqua calda) ho provato a parlare Spagnolo e si sappia che il mio Spagnolo è pressochè inesistente. Alle mie domande in Spagnolo lei mi rispondeva sempre in modalità random in Inglese. Probabilmente avrà pensato che sono come una di quei turisti Europei che vanno in vacanza in Centro America e credono di essere autoctoni perchè possono dire La cuenta por favor. Comunque lei adora il mio nome e l’ultima volta che mi ha visto si è messa a cantare una canzone.
L’Italiano. Sappiate che se dovessi morire è per mano sua. L’ho incontrato sul pianerottolo e mentre io tentavo di ingaggiare una conversazione, forte del fatto che condividiamo la stessa lingua, notavo che lui si teneva saldo alla maniglia della porta della sua camera, lanciando il chiaro messaggio che di parlare con me non ne aveva proprio voglia. I successivi incontri sono stati brevi e io, come mio solito, tenevo banco mentre lui rispondeva a stento e con monosillabi. Gli si sono illuminati gli occhi solo quando ha visto che sto leggendo un libro di Vargas Llosa, per il resto penso che non mi possa reggere. Spera che io decida di ritornare da dove sono venuta il più presto possibile e che le mie corde vocali si recidano nottetempo, così almeno la chiudo ogni tanto quella ciabatta urlante che mi ritrovo al posto della bocca. Ogni mio tentativo di coinvolgerlo in attività di gruppo si sta rivelando vano. (Perchè nel caso ci fosse qualche dubbio, mi sono autoeletta anima trascinante di questa armata Brancaleone e sono determinata ad instaurare un regime di socialità minima tra gli occupanti di questa altrimenti tristissima prigione)
Il Belga. Questo è l’unico che mi sta dando qualche soddisfazione. Oltre ad aver proposto di vedere un film di Jim Jarmush e ad aver avuto più d’una conversazione con me, questo ha anche capito che questa casa, così com’è, è un covo di pazzi. Un posto in cui ognuno ha il suo piatto e il suo bicchiere, la sua padellina e che appena finito di mangiare tutto scompare in una qualche scansia della cucina. Un posto in cui le persone non sono quasi mai fuori dalle proprie stanze e se ci sono tendono a rientrarci il prima possibile. Mi ha anche chiesto: ma come ti è venuto di venire qui appena prima delle vacanze di Pasqua? Caro mio, io faccio scelte prive di senso dal 1986: perchè cambiare proprio ora? Per noia, per mancanza di spunti e per il totale collasso di altre storie pregresse, penso che mi stia prendendo una mezza cotta per il Belga. Sospetto sia gay, ma questa non sarebbe poi una novità per le mie infatuazioni.
Ci sono altre quattro stanze che non hanno un occupante ad oggi, per cui nuovi e improbabili personaggi potrebbero capitare sulla via nei prossimi giorni. E il mistero continua…
Imprescindibili notizie
Poi uno si stupisce perchè non aggiorno più il blog! La verità è che qui non succede mai niente (e io sono impegnatissima a preparare la prossima partenza).
Era da un po’ che pensavo di fare un post del genere, in cui racconto quali sono le notizie del quotidiano locale: quale lo spessore, quale la cronaca feroce che non guarda in faccia a nessuno, quale il periglio che narra! Ah, il periglio!
Oggi pomeriggio, per esempio, è scattato il panico collettivo. In un parco cittadino è stato avvistato da alcuni passanti un uomo vestito con una mimetica e un’arma automatica. I passanti, allarmati hanno avvisato la polizia che ha dato il via alla caccia allo sparatore folle in potenza. Le ricerche sono proseguite per tutto il pomeriggio con telecamere a infrarossi e elicotteri a sorvolare il parco, poi alle cinque hanno interrotto il pattugliamento. Che uno si chiede: adesso anche i criminali lavorano in orari d’ufficio dalle 9 alle 17?
No, semplicemente si sono autoconvinti che il fantomatico ammazzatore di folle non fosse altro che un bird-watcher e che l’arma automatica era un extra obbiettivo per un qualche tipo di binocolo. Nel qual caso, ci scusiamo tanto con il bird-watcher che non avrà visto altro che elicotteri in cielo. Se invece si trattasse di un pazzo criminale, lo preghiamo di attendere con le armi cariche fino alle 9 di Lunedì mattina, quando la polizia avrà ripreso le proprie ricerche e che per favore non spari a nessuno fino ad allora.
Sempre restando in tema di parchi cittadini, qualche giorno fa la notizia che campeggiava in cima alla pagina portava il titolo: “Quindici tonnellate di cacca all’anno”. E io, che sono una balenga inside, potevo non andare a leggere di cosa trattava. Merda di chi? Ma pro-capite? Quanto peseranno quindici tonnellate di merda e dove la nascondete? E’ presto detto: la cacca è quella dei cani che la elargiscono a larghe mani nei parchi cittadini e a quanto pare c’è un signore che nella vita la raccoglie di mestiere. L’articolo raccontava la rutilante vita lavorativa di questo poveretto che spala migliaia di chili di merda di cane annui, ci mostra il suo cacca-van, la cacca-map dove ci sono i punti di raccolta (perchè questa non è cacca into the wild ma è solo quella into the bin, che toglie tanta ma tanta poesia al lavoro dell’Indiana Jones dell’escremento canino). Che comuque uno può domandarsi: ma era veramente necessario un articolo? Dovevamo davvero sapere?
Per provare che dico la vera verità, qui ci sono i link http://www.sydsvenskan.se/lund/femtio-ton-bajs-i-ar/ e http://www.sydsvenskan.se/lund/polis-sokte-bevapnad-man/
Ce ne saranno altre, se solo mi mettessi a cercarle. Purtroppo, i mille impegni di quest’ultima settimana Svedese mi terranno molto impegnata. Vi parlerei anche delle mie interessantissime questioni personali ma dato che non ci sto capendo tanto nemmeno io, allora me le tengo per me e ci si sente nella gelida Albione!