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Sui giovani (Italiani) d’ oggi ci scatarro su (ma non a tutti)

Sarà che l’incombente inverno rende tutti un po’ più irascibili, sarà che con il passare degli anni mi rincoglionisco pure io, sarà che quando mi metto in testa qualcosa vedo il marcio da ogni parte. C’è che ultimamente sono in polemica permanente.

All’inizio fu un articolo dell’Huffington Post (English version, bitch) in cui si sproloquiava di unicorni, di bambini della mia età “speciali” e di infelicità. Questo articolo, proprio lui, è stato quello che ha scoperchiato il mio barattolino di rabbia indiscriminata, che ogni tanto mi tocca riversare su qualcosa/qualcuno. Ci sarebbe da parlarne in lungo e in largo di questo capolavoro di idiozia in lingua anglosassone, che non solo parla di (quelli come) me dipingendoci come una macchietta, un cocktail di hipster da giardino, figlio-di-papà con una puntina di Hello Kitty. Ma non ne parlerò, perchè la mia ira funesta è stata ben presto ricollocata, forse sempre per colpa di quest’articolo.

Mi sono messa ad osservare i GGiovani Itagliani, quelli che mi trovo attorno qui nelle mie lande desolate, quelli con cui entro in contatto (volente o nolente) attraverso i social network. Inizialmente volevo vedere se anche loro erano come quelli di cui il genio dell’Huffington Post andava blaterando oppure se ci fosse, da qualche parte, ancora speranza per il genere umano tutto.

Poi qualcosa è andato storto.

L’inizio della fine è stata questo gruppo facebook (In italiano, cumpà!), a cui sono stata aggiunta controvoglia e che appunto ritengo sia un interessante esperimento sociologico, e solo marginalmente un luogo in cui posso trovare informazioni interessanti. Su cotale pagina, si radunano una miriade di sedicenti ricercatori che dai quattro angoli del globo terracqueo cercano di condividere cose: si va da richieste di semi-sopravvivenza (appartamenti, consigli su una città in cui trasferirsi) ai discorsoni scientifici in cui io il pubblico medio partecipante ha sempre l’aria o di un signore attempato con tuba, bastone, sigaro che degusta uno scotch o di uno del pubblico di Uomini e Donne. Uno normale, MAI.

Spesso e volentieri su questa pagina vengono proposti articoli scientifici o para-scientifici, tipo quelli che appaiono in fondo al paginone di Repubblica che annunciano la scoperta della panacea di tutti i mali. Ovviamente dietro a questa scoperta c’è l’imprescendibile contributo un ricercatore Italiano, un cervello in fuga (dio che odio questa formula!) che sorride in una foto fatta di sbieco mentre millanta di lavorare in laboratorio. Nell’articolo compare sempre un paragrafetto in cui si racconta della vita pregressa del ricercatore e, puntualmente, si fa notare che il povero cristo è dovuto andarsene, ahilui!, dal suolo natio. E tu te lo vedi nella tua mente, lui (o lei) che mogio mogio s’incammina verso un brillante futuro mentre si trascina una valigia fatta di stracci e cartone e c’ha proprio la morte nel cuore. Ma lui (o lei) va! Va! Perchè il suo posto è là (Pooh in sottofondo, lacrimuccia di rappresentanza, sipario, applausi).

Ogni volta che qualche sciagurato mette un articolo di questi subito partono in coro gli Amici di Maria de Filippi che si mettono a sbraitare che l’Italia è un posto de mmerda, che nun ce la si fa a vive in Italia, che c’è da vergognasse, che fa bbene ad annassene. Perchè nella mia mente gli Amici di Maria vivono tutti ad Anagnina (amici di Roma, non abbiatene! vi voglio bene ma la mia fantasia galoppante ha la meglio!).

L’Italia è il male assoluto. L’estero è il paradiso.

A sentire gli Amici di Maria, spostarsi oltre i confini nazionali è condizione necessaria e sufficiente per avere un futuro mejo, un lavoro mejo, una vita un sacco mejo insomma. Quindi io, che all’estero ci sono, mi guardo attorno e cerco di capire cosa ne pensano quelli che all’estero ci sono. Ma dato che sono in fase polemica, nemmeno quello che vedo qua intorno mi piace: qua vivo nell’ostracismo dilagante di Italiani nei confronti di altri Italiani.

Lo conosci quello. No, gli ho parlato una volta ma è Italiano. Eh, lo so, pure tu sei Italiano, qual è il problema? Nessun problema, gli ho parlato una volta perchè, dai, si vede proprio che è Italiano e io non me la volevo tirare e far finta di non averlo riconosciuto, ma poi basta, non voglio avervi niente a che fare, è Italiano!

Questa conversazione è realmente avvenuta, che mestizia. Perchè l’Italiano in pianta più o meno stabile all’estero diffida da ciò che è simile a lui. Non si abbassa a parlare con chi ha la carta d’identità uguale alla sua (perchè la carta d’identità di carta ce l’abbiamo solo noi!). E se da una parte posso capire questa spocchia, perchè sono venuto fino a qua per conoscere uno che abita a 50 chilometri da casa mia?, dall’altra mi chiedo se non sia possibile almeno accordargli una possibilità a questo povero connazionale, che magari anche se parla con il tuo stesso accento è una brava persona, potreste diventare amici, magari non amici-amici ma male non ti farà, dai! Sono d’accordo che non dobbiamo fare come gli Spagnoli che sono sempre la metà di mille, con il vino nella bottiglia della coca cola che fanno un bordello incredibile, però scambiare due parole con un po’ di cortesia e un minimo di apertura mentale si può fare!

In conclusione, all’estero, Italiani uguale inferno. Stranieri uguale paradiso.

Quindi, tirando le somme dell’esperienza di vita vissuta e quella farlocca di facebook, Italia cacca, sempre e comunque, non importa dove sei.

Invece, per me, che me ne sono partita con una strabordante valigia semirigida in una giornata di sole, che non sono dell’Anagnina, che ho amici Italiani qui, un po’ di selezionati conterranei, che nonostante tutte le boiate che mi tocca leggere su Repubblica (la politica, gli scandali, il mal costume, i Dudù), ecco io a quel paese lì gli voglio ancora bene.

Semmai, gli voglio più bene adesso che non quando c’ero, e a suo modo voglio bene anche a tutti quelli che ci abitano. Voglio un po’ meno bene agli Amici di Maria, a quelli che se la tirano e quelli che hanno votato il Movimento 5 Stelle. Però gli voglio bene uguale, un po’ come si vuole bene al cugino scemo.

(…continua)

Imprescindibili notizie

Poi uno si stupisce perchè non aggiorno più il blog! La verità è che qui non succede mai niente (e io sono impegnatissima a preparare la prossima partenza).

Era da un po’ che pensavo di fare un post del genere, in cui racconto quali sono le notizie del quotidiano locale: quale lo spessore, quale la cronaca feroce che non guarda in faccia a nessuno, quale il periglio che narra! Ah, il periglio!

Oggi pomeriggio, per esempio, è scattato il panico collettivo. In un parco cittadino è stato avvistato da alcuni passanti un uomo vestito con una mimetica e un’arma automatica. I passanti, allarmati hanno avvisato la polizia che ha dato il via alla caccia allo sparatore folle in potenza. Le ricerche sono proseguite per tutto il pomeriggio con telecamere a infrarossi e elicotteri a sorvolare il parco, poi alle cinque hanno interrotto il pattugliamento. Che uno si chiede: adesso anche i criminali lavorano in orari d’ufficio dalle 9 alle 17?

No, semplicemente si sono autoconvinti che il fantomatico ammazzatore di folle non fosse altro che un bird-watcher e che l’arma automatica era un extra obbiettivo per un qualche tipo di binocolo. Nel qual caso, ci scusiamo tanto con il bird-watcher che non avrà visto altro che elicotteri in cielo. Se invece si trattasse di un pazzo criminale, lo preghiamo di attendere con le armi cariche fino alle 9 di Lunedì mattina, quando la polizia avrà ripreso le proprie ricerche e che per favore non spari a nessuno fino ad allora.

Sempre restando in tema di parchi cittadini, qualche giorno fa la notizia che campeggiava in cima alla pagina portava il titolo: “Quindici tonnellate di cacca all’anno”. E io, che sono una balenga inside, potevo non andare a leggere di cosa trattava. Merda di chi? Ma pro-capite? Quanto peseranno quindici tonnellate di merda e dove la nascondete? E’ presto detto: la cacca è quella dei cani che la elargiscono a larghe mani nei parchi cittadini e a quanto pare c’è un signore che nella vita la raccoglie di mestiere. L’articolo raccontava la rutilante vita lavorativa di questo poveretto che spala migliaia di chili di merda di cane annui, ci mostra il suo cacca-van, la cacca-map dove ci sono i punti di raccolta (perchè questa non è cacca into the wild ma è solo quella into the bin, che toglie tanta ma tanta poesia al lavoro dell’Indiana Jones dell’escremento canino). Che comuque uno può domandarsi: ma era veramente necessario un articolo? Dovevamo davvero sapere?

Per provare che dico la vera verità, qui ci sono i link http://www.sydsvenskan.se/lund/femtio-ton-bajs-i-ar/http://www.sydsvenskan.se/lund/polis-sokte-bevapnad-man/

Ce ne saranno altre, se solo mi mettessi a cercarle. Purtroppo, i mille impegni di quest’ultima settimana Svedese mi terranno molto impegnata. Vi parlerei anche delle mie interessantissime questioni personali ma dato che non ci sto capendo tanto nemmeno io, allora me le tengo per me e ci si sente nella gelida Albione!

L’importante è partecipare

Come se fosse necessario un ennesimo commento a questa tornata elettorale. Come se a qualcuno gliene importasse qualcosa, io lo voglio raccontare.

Nel caso non si fosse capito, io abito in Svezia e non mi sono voluta iscrivere all’AIRE, per cui mi prendo le mie responsabilità e muovo il culo, prenotando con mesi di anticipo il volo, spendendo poco con una compagnia low-cost. No, non quella Irlandese, l’altra.

Esco da lavoro verso le tre per non perdere il volo, mi precipito in aeroporto e dopo che il personale di terra ci ha stipato oltre i cancelletti dell’imbarco, come un branco di lama, aspettiamo che si aprano le porte. All’improvviso un annuncio “Ops, si sono rotti i freni”. Niente paura, solo sette ore dopo arriverà un altro aereo per portarci a destinazione.

L’aereo decolla nel cuore della notte ma dopo poco sono svegliata da un odore acido. Il ragazzo seduto dietro di me aveva deciso di ammazzare l’attesa in aeroporto bevendosi una caraffa di birra (cioè, un sudoku, no?) e si è messo a vomitare a spruzzo. Lo trascinano in bagno, ma nel frattempo due dei suoi amici vomitano pure loro per simpatia. E su un aereo non è che puoi aprire un finestrino, ecco. Arrivo alle cinque di mattina a casa disgustata e stremata, ringraziando quelle anime pie dei miei genitori che mi sono venuti a prendere all’aeroporto ad un orario improponibile, in un revival dei vecchi tempi in cui andavamo a ballare e poi c’era il genitore sfigato di turno che ti veniva a prendere alle 3 e un quarto.

Il giorno dopo, con troppe poche ore di sonno sulle spalle, arriva Narnia. Venti centimetri di neve si sono ammonticchiati nel giro di qualche ora, le strade erano impraticabili perchè alla provincia hanno tirato la cinghia sui mezzi antineve e io ero bloccata a casa e non ho potuto incontrare i miei amici.

Domenica sono andata a votare, prima del primo rilevamento a mezzogiorno, come al solito, nel turno con gli anziani coi problemi di insonnia, dei contadinotti che scendono in paese per il mercato e delle beghine che vanno a messa. So che è il turno degli sfigati ma le tradizioni sono tradizioni e lo faccio per dare un vago valore statistico a questi rilevamenti del Quirinale.

Lunedì mio padre mi dà un passaggio in aeroporto. Abbiamo chiacchierato tanto, una di quelle chiacchiere intense come la giornata che sarebbe arrivata da lì  a poco. Abbiamo parlato di lavoro, di futuro e di politica. Lui era ottimista, credeva che si sarebbero smacchiati leopardi, giaguari e tutte le fantasie animalier. L’ho abbracciato forte e l’ho salutato con un sorriso in faccia, credendoci anche.

L’imbarco per l’aereo del ritorno era alle 3, in concomitanza con l’uscita delgi exit-poll, maledetta a me e a quando prenoto gli aerei senza controllare questi dettagli. Non ho internet e gironzolo nervosa in prossimità degli schermi sperando che il finto telegiornale filo-mediaset di Malpensa trasmetta qualcosa che non sia un oroscopo o i risultati di Serie A. Arriva l’ultima chiamata e degli exit-poll neanche l’ombra.

Appena sbarco accendo il telefono. Mi connetto e mentre cammino spedita per il lungo corridoio cerco di caricare la pagina di Repubblica. Sono le cinque e mezza: Bersani è al 37%, Berlusconi al 29%, Grillo sotto il 20. Sussurro “Sì!” e mi avvio spedita verso la stazione dei treni, perdo la connessione wireless che ritroverò solo dopo una mezz’ora.

Quando ho nuovamente accesso a internet e posso ricontrollare i risultati su Repubblica penso ad uno scherzo. Bè, non c’è bisogno di raccontare quello che è successo. Lo sappiamo tutti, lo sanno pure gli Svedesi, quindi conto sul fatto che i risultati elettorali siano di dominio pubblico.

Ho controllato la pagina mille volte: in treno, alla fermata dell’autobus, sull’autobus, ma niente: i risultati si ostinavano a non cambiare. Anzi, se possibile peggioravano! Piango la prima volta sulla via di casa, mentre trascino la valigia. Chi mi ha incrociato deve aver pensato a tutto il peggio del mondo ma di sicuro non che stavo piangendo perchè i miei connazionali sono un branco di pecoroni ignoranti.

Appena arrivo a casa chiamo a casa per un commento a caldo. C’è solo mia madre. Nemmeno un minuto e sono ancora in lacrime. Questa volta piango semplicemente perchè ho ammesso ad alta voce che le elezioni erano andate di merda. Me la prendo quasi con lei, taglio corto e dico che non voglio parlare. Inizio a disfare la mia misera valigia del fine settimana elettorale, cerco di mendare giù qualcosa anche se la fame proprio non c’è.

Visto che mi sono ricomposta decido di chiamare a casa di nuovo a casa per rassicurarli. Stavolta c’è anche mio padre e anche lui come me è visibilmente incazzato, ma cerca lo stesso di rassicurarmi. Dice che comunque le cose si metteranno a posto, in qualche modo, che non mi devo preoccupare, che io sono fortunata perchè sono all’estero e che loro, anche nella peggiore delle ipotesi se la caveranno. Io nel frattempo mi sono messa a piangere di nuovo. Questa volta piango per tutte quelle brave persone come i miei genitori che si ritrovano in questo cul de sac, il risultato di anni di lobotomie di massa, nasi turati, memorie corte.

La serata passa ascoltando La7 e ricevendo messaggi su facebook e skype da tanti amici, anche loro sbigottiti da quanto successo.

In ultimo mi ha chiamato pure lui, quello del tuffo, se ne parlò sul blog l’ultima volta anche qualche tempo fa. Anche con lui è andata in scena la solita tribuna politica, le lamentele, le domande che rimarranno senza risposta (ma se noi non l’abbiamo votato chi l’ha fatto? dici che dobbiamo tornare in Italia a votare un’altra volta?).

Poi abbiamo cambiato discorso. Come a dimenticarci di quello che era successo. Abbiamo parlato di vacanze, di tende, di estati, di primavere, di fine settimana, di aerei. Ho riso finalmente, perchè lui mi fa ridere sempre. Non sono sicura che quei piani prenderanno davvero vita, se l’ho capito almeno un po’ non dovrei sperarci troppo. Almeno per un’ora quella sera non ho pensato a tutti questi brutti pensieri che la mia nazione mi dispensa a larghe mani ogni volta che i suoi cittadini sono chiamati a eleggere democraticamente chi deve rappresentarli.

Giannino voleva Fare per fermare il declino.

Io sono dell’idea di Flirtare per fermare il declino.

Sfigati

C’era una volta il bamboccione, che il caro Tommaso aveva usato per designare coloro cresciuti a pane e bambagia. Ora è venuto il momento dello sfigato, che lascia le melodie da Accademia della Crusca del suo predecessore per un aggettivo da uomo della strada.

Ma chi è lo Sfigato?

Hai più di 28 anni e non hai ancora finito l’università perchè fai i turni in fabbrica? Dicesi “Studente-Lavoratore”.

Hai più di 28 anni, ti comporti come uno che ne ha 18 e passi le tue serate tra una discoteca e l’altra a spendere i soldi di Papà offrendo da bere a tutti, tanto chissenefrega dell’università fino a che c’è qualcuno che mi copre il culo? Sì, sei uno Sfigato.

Hai 24 anni e ti sei laureato con pieni voti ad entrambe le prime sessioni di laurea utili sia alla triennale che alla specialistica, ovviamente con il massimo dei voti, e come se non bastasse hai trovato lavoro prima che finissi l’università e hai dovuto pregarli di farti incominciare dopo la laurea anche perchè il lavoro era, così giusto per fare un esempio, in Svezia? Rimani lo stesso un pò Sfigato. Secchione sarà anche bello ma arrivano certi giorni e ti chiedi: perchè questa corsa? Le ragioni ci sono e sono anche buone. Fino a che ero (ehm… sei. Va bè, qui si parla di me, se non si era capito!) all’università vivevo sulle spalle dei miei genitori e a poco servivano i lavoretti estivi a sbarcare il lunario: le migliaia di euro di tasse universitarie non le coprivano nemmeno mesi di cameriera senza contare l’appartamento e così via. Poi a fare la parte da leone c’è la sindrome da prima della classe che mi affligge dal 1986 e quella è un morbo incurabile. In più, studiare per me non è mai stato difficile: anche nel periodo della mia vita A.F. (Avanti Facebook) trovavo il modo di cazzeggiare su internet, invece di stare sui libri eppure quello che facevo era sufficiente a barcamenarmi senza puntare al 18. Quando ero all’università sentivo che per me quello era il mio lavoro e come tale dovevo dedicargli un tot ore a settimana e un p di devozione.

Con il senno di poi mi chiedo a cosa sia servita tutta quella fretta e che forse a prendersela comoda, magari lavorando 9 mesi con un lavoretto qualsiasi per guadagnare quanto basta per farsi gli altri 3 mesi alle falde del Kilimangiaro o chissà dove. Ma come si be sa del senno di poi sono piene le fossa e adesso a 25 anni mi trovo in Svezia a metà del mio secondo anno di dottorato.

Hai più di 28 anni, non hai ancora finito l’università ma vivi in Svezia? Qui sei uno nella norma. Con il fatto che gli studenti hanno uno stipendio (una miseria, capiamoci, ma è pur sempre qualcosa!) il prendersela comoda in realtà assume più le sembianze di godersi la vita senza troppi stress e, credetemi, l’università svedese difficilmente offre qualsiasi tipo di stress. Per avere il titolo di dottorato devo seguire alcuni corsi con gli studenti della specialistica e nella maggioranza dei casi ci sono due terzi di lezioni e un terzo di esercizi in cui si risolvono in gruppo, con l’aiuto del professore degli esercizi identici a quelli che si troveranno all’esame. Per l’ultimo esame che ho fatto eravamo una quarantina in corso e dopo un paio di giorni dall’esame il professore invia una mail in cui dice che ha valutato solo metà delle prove ma che da una prima correzione generale tutti (!) hanno passato l’esame. E questo era l’esame di Chimica Farmaceutica, che nella maggioranza delle Università italiane miete vittime che nemmeno la peste.

In conclusione, il buon Martone si sarà forse fatto prendere un pò dall’entusiasmo e ha usato un termine d’effetto. Ha dipinto una situazione a tinte grigie con un bello squarcio nella tela con questo exploit: speriamo che ne possa uscire una discussione costruttiva piuttosto che tante polemiche fomentate anche da chi una laurea ce l’ha e non si sa come gli è arrivata tra le mani, vero Maria Stella?