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Due anni.

Ai Lamberti come me.

Non sono una che conta i giorni ma oggi non ho potuto fare a meno di notarlo. Ero nel corridoio, direzione ufficio, e lì ho realizzato che oggi era il primo d’Agosto. Due anni fa arrivavo in Svezia per la seconda volta. E questa volta era definitivamente.

In realtà c’è un altra data chiave tra me e la Svezia, il 10 Gennaio, giorno in cui sono arrivata per l’Erasmus. Però il 10 Gennaio è un po’ come l’anniversario della prima scopata, non è quello che ricordi in pubblico, solo una grande libidine di feste e divertimento. Il primo Agosto è il giorno in cui ci “siamo messi insieme”. Di un eventuale matrimonio non se ne è ancora parlato.

Come in ogni data tonda che si rispetti, viene la pazza tentazione di fare dei bilanci, stilare liste, spuntare alcune voci, evidenziarne altre. Inutile dire che alle tentazioni è difficile resistere, specialmente se promettono una sottile vena autolesionisitca, che a noi emigrate del terzo millennio tanto ci piace.

La cosa a cui ho pensato più spesso oggi, con tanto di ripercorrimento di dialoghi come in un cinema dalle seggioline retrò, è il mio ex. Quell’ex con cui ho pensato bene di ricominciare appena ritornata da Svezia 1, pur sapendo di ripartire a breve per Svezia 2. Alla fine lui era stato tanto telematicamente presente nei mesi in cui ero via che mi era sembrata tutto sommato un’idea pacifica. Il giorno prima di partire ci siamo salutati quando già albeggiava, con lui che mi ha regalato un terribile braccialetto lilla con dei campanellini comprato sulla festa della birra a sua imperitura memoria (e poi dicono che un diamante è per sempre!). In un momento di lucidità quella sera avevamo deciso di “lasciarci”, ma quando al telefono gli dissi che avevo trovato qualcun’altro che mi piaceva e che era nella mia stessa nazione lui ci rimase male.

Se ne uscì dicendo: “Ti auguro di essere felice con lui ma non lo spero”.

Mi chiedo ancora da dove abbia tirato fuori quella frase, così drammatica e così diabetica. D’altronde io ho sempre avuto un certo talento a scegliermeli speciali.

Ripenso ai mesi passati a svegliarmi con l’odore di thè chai, che mi è piaciuto forse per due mattine e da lì in poi sarà solo il vomitevole odore con cui iniziano le mie giornate. Vivevo nella casa con la doccia come in piscina. La cucina senza finestre e il bagno pure (architetti Svedesi, echeccazzo?). Le persone con cui avevo festeggiato fino a qualche mese prima erano ovunque nel mondo ma non in Svezia. E ovviamente il lavoro, ragione numero uno per cui ero tornata in Svezia, andava malerrimo.

Per sopravvivere a questa serie di piaghe Svedesi era ovvio che mi sarei dovuta attaccare con le unghie e con i denti a qualcuno, per darmi una buona ragione al mattino per andare in mezzo ai vapori del the chai e mettere su il caffè. E fu così che venne fuori Lonely Boy. Questo argomento è stata ragione di tedio in lungo e in largo ma ad oggi mi chiedo solo se sia già tornato dalle vacanze, se sia gay e se mi sarei innamorata (davvero) di lui se non fossi stata in questa situazione psicodebilitante.

Mi vengono in mente tante persone che sono presenze fisse su questo blog, come lo stalker e“il” “mio” “moroso” e di chi anche se c’è qua non viene riportato. Per non parlare di tutti gli amorazzi che compaiono e scompaiono, ma raramente rimangono. Se qualcuno di questi rimanesse mi augurerei fosse Svedese, così almeno avrei una qual motivazione per impegnarmi un po’ di più nell’imparare questa lingua, che so’ tanto caruccia quando la parlo ma faccio molto Wendy Windham.

In questi due anni è cambiato sicuramente il mio approccio al lavoro. Sono passata da nipotina di Stachanov convinta di salvare il mondo con i suoi studi a quella che fa il suo, il giusto con la giusta disillusione e un accenno di orgoglio personale per i risultati ottenuti. Diciamocelo, il dottorato e l’università sono le stesse in ogni angolo di questo mondo. Ovunque vince quello che sorride di più e che lecca i culi giusti, anche in Svezia. Come due anni e pochi mesi fa mi trovo a pensare che io in Università non ci lavorerò mai, ma è chiaro che i fermi propositi di un tempo poi tanto fermi non erano e chissà che ne sarà del futuro.

Per non parlare di chissà dove sarà il futuro.

Oddio, il futuro!

Non è che si può fare che io rimango congelata in questo limbo di decisioni non prese dove ogni fine settimana è una festa e siamo tutti amici e siamo tutti belli e nessuno invecchia e io imparo lo Svedese e a casa mi aspetta uno Svedese che cucina e ramazza mentre io sono al lavoro e al lavoro le persone iniziano a prendere sul serio i loro impegni e non mi relegano a essere l’ultima ruota del carro, chè tanto io ho ancora due anni prima di finire e ci sono persone che hanno più bisogno di me di fare meeting con i capi e di discutere delle loro non scoperte scientifiche per potersi dottorare e finirla con questa pagliacciata, che alla fine è solo un’altra fabbrica di titoli solo raramente guadagnati sul campo ma che vengono concessi per dedizione alla causa, come una crocerossina invece che come un soldato.

No, eh, non si può fare. Dicono che non si può.

Sono al giro di boa di questa Svezia 2 e a volte mi dimentico che c’è un fututro, che sicuramente un giorno rimpiangerò i giorni d’estate con 15 gradi e la pioggia e l’odore del the chai farà ancora schifo ma un po’ meno, perchè avrà il retrogusto di vittoria per averla svangata anche questa volta.