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Roba in tasca
Oggi ha ricominciato a fare freddo.
Per andare in palestra mi sono messa la giacca, visto che sulla via casa lavoro mi sono congelata, io e il mio top largo e corto che trasudava ottimismo. Ho messo la giacca, e le chiavi in tasca. Ad aspettare le chiavi c’era un rettangolino di cartone, non c’era bisogno di tirarlo fuori per sapere che cos’era: ancora un fottutissimo biglietto della metro di Parigi.
Che a ripensarci è buffo: allora l’estate faticava a farsi trovare, nonostante Giugno fosse quasi finito e io me la mettevo ancora la giacca. Poi l’estate arrivo proprio in quei giorni e la giacca è rimasta appesa all’ingresso. Fino a oggi. Mentre per me l’estate ha voluto dire sì bel tempo ma anche una serie più o meno lunga di pensieri tristi. Bah, ironia.
Questa cosa delle tasche mi fa ripensare a quel compleanno di due anni fa quando un mio spasimante mi aveva regalato un borsa comprata in Iran, poichè Iraniano era il soggetto in questione. Me l’aveva impacchettata e me la diede sull’uscio di casa mia e allontanandosi mi disse di guardare nelle tasche. Aprii il pacchetto e vidi questa borsa, orrenda, ma proprio terribile, che aprii per cercare se c’era qualcosa dentro. Un biglietto giallo scritto a mano diceva che lui ha l’abitudine di guardare sempre nelle tasche, nella speranza di trovare qualcosa, che gli piace “esplorare” le tasche non solo fisiche ma anche quelle del carattere delle persone. Mi ringraziava di avergli fatto esplorare le mie (E giusto per chiarire qui parliamo di tasche metaforicissime, nessuna tasca fisica fu mai esplorata!). Quella sera iniziai a intuire che ci fosse qualcosa di più sotto, che intuito!, perchè io all’epoca non avevo idea che questo spasimasse per me. Quindici giorni dopo, più o meno, mi fece una dichiarazione “d’amore” in luogo pubblico che se ci penso ancora mi sotterro. Io lo rifiutai. Quindici giorni dopo ancora toccò a me fare una dichiarazione a una terza persona, seppur meno plateale. E venni rifiutata. Un’ecatombe, insomma. Una tragedia Shakespeariana con sangue che scorre, lacrime che sgorgano, Montecchi, Capuleti e compagnia bella.
Ce l’ho ancora quel biglietto ed è questo qui.
E sapevo di averlo ancora, proprio perchè ieri ho trovato un altro biglietto giallo, scritto dalla stessa mano, un anno dopo. Per un periodo della mia vita questi biglietti gialli mi hanno perseguitato. Quella volta era andato in un negozio di dischi di Tokyo, mi aveva trovato un cd. Cd tra l’altro non richiesto, di un gruppo sconosciuto, che è ancora qui nella sua plastichina a prendere polvere su una mensola, accanto a Padania degli Afterhours. Quest’anno non ho ricevuto nessun bigliettino giallo, semmai mi è arrivata una mail un mese fa in cui mi diceva che una delle mie band preferite aveva fatto un nuovo cd ma non era disponibile su Spotify. Io già lo sapevo, anche perchè il cd era uscito a Gennaio, dicso non entusiasmante tra l’altro. Non gli ho mai risposto a quella mail perchè non avevo nulla da dirgli, nemmeno un grazie. Vuoi perchè sono una brutta persona, vuoi per un contrappasso universale, è che dopo due anni di no sarebbe il momento di farsene una ragione. E invece questo fesso che controlla quando escono i miei cd preferiti, che ha ascolta la mia musica, che vuole esplorare le tasche se mi servisse un rene e un polmone sarebbe in prima linea e io nulla. Niente. Neanche un pelo sulle braccia che si rizza, l’anaffettività proprio. Che è ironico, se si pensa che tutto questo sbarbattare di cuori, di tasche, di regali, di ricordi è tutto fine a sè stesso e non si concretizzerà mai in qualcos’altro. Da parte sua, da parte mia ma per altre parti. Ironia, ancora, palate di ironia.
E magari la smetterei di essere così finto-filosofica se non stessi leggendo il libro più triste della storia della letteratura moderna. Si chiama “Il museo dell’innocenza” di Ohran Pamuk. La prima pagina inizia dicendo che quello per il protagonista era il momento più felice della sua vita, facendo intuire al lettore che il resto del libro sarà una discesa negli inferi della disperazione umana. Sono a poco più di metà e al momento non vedo come possa andare peggio di così, ma ha ancora 200 e passa pagine per prendere un badile per mettersi a scavare la propria fossa, per cui sono fiduciosa che possa finire anche peggio di quanto ci si possa aspettare. E la cosa peggiore, quella che mi dovrebbe far pensare, è che questo tizio colleziona roba, oggetti che ha incontrato nella sua vita e che erano presenti a un dato momento in una certa situazione che per lui assumono valore storico, testimonianze di fatti accaduti a lui, che costituiscono un museo di storia personale.
Come il mio, fatto con i cd, i biglietti, gialli o della metro. Il biglietto della metro è rimasto nella giacca, negli scorsi giorni ho già buttato tante altre cose, scontrini, mappe e biglietti di ogni sorta, ma quel piccolo rettangolino lo ho lasciato in quella tasca grandissima, gli angoli spiegazzati dalle mie dita nervose.
Tanto io fra un paio di giorni la giacca non la uso più. La lascio qui in Svezia e come le rondini sverno.