Etichettato: Olanda

Matt Berninger, prega per noi


I wanna hurry home to you
Put on a slow dum show for you
and crack you up.

So you can put a blue ribbon on my brain
god I am very very frightened
I’ll over do it.

Se dicessi che le canzoni sono dei piccoli vasi di Pandora dentro a cui ci vanno a cadere momenti speciali, direi una banalità. E infatti l’ho detta. Mannaggia!

Sarò così prevedibile perchè mi arriva poco ossigeno al cervello visto che è da mesi che sono già in iperventilazione perchè questo sabato, finalmente, vado a vedere, sentire, cantare i The National.

Chi hai detto che vai a sentire? I The National. E chi sono, di grazia?

Io non so se i The National sono famosi in Italia, se MTV li ha mai passati o anche una radio qualsiasi. Comunque i The National sono, a mio modesto parere, una delle band migliori che gli anni 0 abbiano visto. E, ovviamente, una band che ha segnato nel bene e nel male questo ultimo anno e mezzo.

Per ragioni fumose che anch’io fatico a spiegarmi, come vedevo la copertina di High violet (il loro penultimo album) apparire nel lettore di Spotify io mandavo avanti la canzone senza possibilità di redenzione, per cui ho dovuto aspettare fino a quando sono capitata per caso ad ascoltare Brainy, che è di un altro album, un pomeriggio qualunque poco prima di Pasqua 2012. (You know I keep your fingerprints in a pink folder in the middle of my table) Fu quella batteria dominante e che cambia in continuazione che mi ha trascinato dentro il baratro dei The National, facendomi passare anche la paura fottuta per le canzoni di High violet, chè tanto ormai era uscita anche la exteded version che aveva una copertina che mi creava meno repulsione immotivata.

Il caso vuole che proprio in HIgh Violet ci fosse una canzone intitolata England (You must be somewhere in London, you must be loving your life in the rain) e chi è che sarebbe partita a giorni per una vacanza (che poi si rivelerà tragicomica) a Londra? Io, of course. E non potevo per nessuna ragione al mondo lasciarmi scappare l’occasione di avere una colonna sonora semi-personalizzata per una quattro giorni con un mio amico invaghito di me e quello che la ggente crede che sia il mio ragazzo (e che invece è solo un caro amico che si è ritrovato, sapendolo dall’inizio, a fare da chaperone). Mi ricordo che quando arrivavo in albergo (una stanza in una casa vittoriana a Bayswater con il pavimento in pendenza) distrutta da una giornata in giro mi coricavo a letto mi mettevo nelle orecchie i The National, per isolarmi per un momento da quel mondo di chiacchiere che dopo quei giorni di compagnia forzata iniziavano a diventare un po’ vuote di significati.

Una volta tornata a casa ho continuato ad ascoltarli e ad apprezzarli sempre di più, ascoltanto prevalentemente i loro tre album più recenti, High Violet, Boxer e Alligator.

Proprio da Alligator viene un’altra canzone in cui sono inciampata. Era in Olanda, avevo avuto una giornata pessima al lavoro e lui sarebbe arrivato da lì a poco a casa mia. Mi ero sdraiata sul letto, ero stanca e nervosa perchè avevo l’ansia da prestazione per quella serata, avevo lasciato acceso Spotify con l’impostazione radio, quella che più random non si può!, e inizia questa canzone (Oh come, come be my waitress and serve me tonight, serve me the sky tonight) La ascolto impegnandomi perchè non voglio perdermi nemmeno una nota, perchè era esattamente la musica che volevo sentire in un momento come quello, anche se non avevo idea di che canzone fosse. Non faccio in tempo ad andare a controllare il titolo che suona il citofono. E’ arrivato.

Quando sono ritornata in Inghilterra questa primavera mi è sembrato ovvio rispolverare la vecchia colonna sonora che tanto aveva dato soddisfazioni l’anno precedente, per cui mi sono fatta proprio una playlist che si chiama “England”, la fantasia proprio.
Il caso vuole che durante un film con il Belga (il Belga! Guarda chi andiamo a rispolverare…) la canzone finale del film su cui se hai un cuore da qualche parte ti viene un magone infinito e su cui scorrono i titoli di coda (che ci siamo visti tutti fino all’ultimo dei truccatori) era questa (Don’t leave my hyper heart alone on the water, cover me in rag and bones. sympathy. cause I don’t wanna get over you). Da allora questa canzone che già è tristissima di suo, ha guadagnato il gusto extra dell’atmosfera di quelle settimana, di un’amicizia che, va be’, mi ha fatto stare bene e mi ha fatto pensare parecchio. Alle opportunità, al coglierle, allo sprecarle.

Come se questo non fosse sufficiente per far capire che la mia grama vita e quella dei The National tutti sono legate a doppio filo, quando sono ancora in Inghilterra, poco prima che i fantasmi Olandesi ritornassero, i The National rilasciano ben due singoli del loro nuovo album (Cannot stay here I can’t sleep on the floor, drink the blood and hang the palms on the door, do not think I am going places anymore, wanna see the sun com up above New York) Da lì a poco seguirà un album, che purtroppo non amerò incredibilmente come i precedenti, quelli con le canzoni che canto ad alta voce sulla via di casa, che tanto non incrocio mai nessuno, e quelle volte che succede gli sorrido e continuo sulla mia strada. L’unica che salvo è forse (I am having troubles inside my skin, I try to keep my skeletons in, I’ll be a friend and a fuck up and everything but I’ll never be averything you ever wanted me to be. I keep coming back here were everything… slipped)

Sto notando che con il continuare di questo post le citazioni delle canzoni diventano sempre più lunghe, quindi è forse il caso di piantarla qui prima che diventii, più di quanto già non sia ora, una lunga lista di dediche da Smemoranda.

Matt Berninger, io ti vengo a vedere questo sabato. Per favore, tu apri tutti i vasi di Pandora che trovi. Non avere pietà. Chè in questo periodo un po’ grigio ho bisogno che mi rimescoli dentro tutte le emozioni di questi mesi passati insieme.

(In tutto questo sproloquio non ho commentato la canzone iniziale, Slow show, che secondo me è la più onesta dichiarazione d’amore (se, e dico SE, l’amore esiste) che si possa mai fare)

Fine primo tempo

(Se mi dicessero che questa è l’unica canzone che posso ascoltare da qui alla fine dei miei giorni, non la prenderei troppo male)

Sono arrivata a poco più di metà della mia avventura Albionese ed è già tempo di bilanci. Così come è successo durante il periodo Olandese, sono felice. Sono felice della stessa felicità per cui non c’è niente di incredibilmente perfetto da farmi svegliare alla mattina con un sorriso. Ma che lo voglia o no, quel sorriso ce l’ho in faccia.

Sono quasi quattro settimane. Ci sono stati giorni in cui mi sono chiesta che cosa ci facevo qui. Per la prima settimana non ho nemmeno disfatto la valigia, ce l’avevo aperta in mezzo alla camera, con ancora i vestiti piegati all’interno. Nemmeno dovessi decidere di chiuderla, prendere la porta e tornare da dove sono venuta. E invece niente, dopo un po’ la valigia l’ho disfatta e adesso ci ho pure preso gusto.

Scrivo di sabato sera, perchè sono a casa. Il sabato sera a casa era una cosa che non mi succedeva da secoli: il fine settimana, per me sacro e dedicato a qualsiasi attività purchè fuori di casa e in compagnia, non è più imprescindibile. Alla fine qui conosco una manciata di persone, nella casa stasera penso ci saremo solo io e la Cinese.

L’Italiano è probabilmente fuori con la Brasiliana (ve l’avevo detto che c’è una Brasiliana? No? Bè, mi sta sul cazzo e questo è più o meno quanto). L’Algerino è disperso altrove. L’Hondurena visto che non spiccica una parola di Inglese è andata a Vienna per una settimana, magari il Tedesco le riesce più congeniale. L’Indiano se ne è andato e non ritorna più. Il Tedesco sta copulando con la sua ragazza (poichè ho scoperto che questa è la ragione per cui non è mai a casa). Il Belga sta copulando con la sua ragazza pure lui, probabilmente, visto che per qualche giorno è a Londra, con lei e mille altre persone. E io invece sono qui, con la piantina di basilico che il Belga mi ha pregato di curargli in sua assenza, come in una rivisitazione della scena finale di “Leon”, dove alla fine rimango da sola, io con la piantina. Che poi io nemmeno le so curare le piante e se non ci si crede, chiedete a mia mamma del genocidio botanico quella volta che i miei sono andati in vacanza per una settimana e mi hanno lasciato i vasi da innaffiare. Ho seriamente pensato che i miei mi avrebbero disconosciuta quella volta.

Le altre persone che conosco sono le ragazze del laboratorio e con loro sono uscita ieri sera. Alle cinque siamo andate al pub per “una birra”, che è diventata un’altra birra, che è diventata una cena, seguita da tre giri di sambuca e ancora una birra. Morale della favola, alle undici il pub ha chiuso e ci ha buttato per strada, che mai fu così difficile da percorrere anche se erano solo dieci minuti fino alla mia prigione. Oltre a non avere il senso della misura per l’alcool, devo dire che quelle ragazze mi piacciono. A differenza di molta altra gente che conosco attraverso il lavoro, non si prendono troppo sul serio, il che è sempre un valore aggiunto quando il tuo progetto di ricerca riguarda cose che nemmeno a quelli che lavorano nel tuo campo gliene potrebbe fregare di meno.

Questo è il mucchietto di persone che mi accompagnano in questa avventura. Certo, ci sono tutti gli altri, quelli che sono disseminati da qualche parte nel mondo e che di tanto in tanto mi mandano una e-mail con dentro un po’ d’amore sfuso.

E sono felice.

Inizio a sospettare che la ragione di questa estasi, la mia droga, sia questa possibilità che mi è stata data, quella di viaggiare. Una vita da semi-nomade. La vita in Svezia, quattro mesi di fuga in Olanda, un paio in Svezia e poi ancora in Inghilterra. Ogni volta che approdo in un posto nuovo ho la possibilità di ripartire da zero. Zero è un numero che fa un po’ paura però è il brivido che conta, che ti dà la scossa e ti fa cominciare. Ogni volta posso reinventarmi ed essere quello che voglio.

In Svezia, all’inizio, ero quella piena di buoni sentimenti, quella che fa-la-cosa-giusta e dio solo sa a quali terribili risultati ha portato tutta la mia voglia di correttezza.

In Olanda sono diventata Italiana, ho rispolverato un amore per la mia nazione e per le persone che ci vivono. Come ogni mio amore, anche quello per l’Italia è un amore mal riposto, mi pare di capire.

Qui sono una radical-chic che ognuno nel mondo si dovrebbe sentire in dovere di odiare, imparo di film che anche la mamma del regista si è rifiutata di vedere e il Belga mi legge le poesie decadenti mentre mangio gli involtini primavera, mia unica vera fonte di sostentamento.

Il problema è che non posso condurre una vita con la data di scadenza in eterno. Verrà il giorno in cui dovrò mettere la testa a posto, in un unico posto, e provare a rimanerci. Temo quel giorno e allo stesso modo lo aspetto curiosa, per vedere chi sarò allora e quanto detestabile sarò diventata. Per il momento mi godo l’effimera felicità di questa nuova vita, che tra tre settimane finirà in un secondo, proprio come è incominciata.

Serramenti

(Che poi uno i serramenti non li deve per forza chiudere, no?)

Succede che ci sono delle sere di Gennaio in cui uno si rimane da soli con i propri pensieri e non si può fare a meno di farsi delle domande (che non bisognerebbe farsi in una fredda sera di Gennaio), tipo “Dove sarò tra cinque anni?”, “Che cosa starò facendo?” o più in generale “Che cazzo sto facendo ora della mia esistenza?”.

Questa vita da nomade in cui mi sono cacciata è bella. Quando siedi a un bar e racconti la tua storia, le città in cui vivi, hai vissuto e in cui tornerai o meno ci sono persone che genuinamente ti invidiano. Peccato, che con questo stile abitativo molto temporaneo non sia possibile creare legami stabili. Non con cose, luoghi e sopratutto persone.

Le persone sono il vero problema: apri porte, finestre e tapparelle, fai entrare persone nella tua vita, altre escono e alla fine è un bazar in cui tanti passano e pochi rimangono. Forse è così per tutti ma la mancanza di un luogo fisico in cui raccogliere tutte queste persone fa sentire il loro passaggio ancora più fugace.

Le persone non sono il problema: il problema è che uno ci si affeziona alle persone, in meno di un giorno, forse meno di un’ora. Disaffezionarsi è il problema.

Succede che ho aperto una finestra per qualcuno. Volevo farlo entrare, lo volevo così tanto che mi svegliavo nel cuore della notte per pensare a quanto sarebbe stato bello se. Immagino che volere a volte non sia abbastanza. Non so se anche lui aveva le stesse intenzioni, così forti, ma è certo che se c’è qualcuno che ha mancato di volontà è stato lui. Lo dico senza rancore: mi sono messa in gioco, ho chiesto, ho scritto, ho ballato, ho sorriso. Adesso scrollo le spalle. Mancano pochi giorni alla fine dell’Appartamento Olandese e ho già due valigie da riportarmi in Svezia, non mi posso portare dietro altri fantasmi.

Succede che avevo socchiuso una porta tempo fa. Fortunatamente non sono l’unica persona al mondo che fa questa vita raminga e succede che io e lui ci veniamo a trovare nella stessa nazione. Ai capi opposti, ma sempre nello stesso Stato, e fino ad ora non era mai successo. Ci sentiamo, parliamo, ridiamo, io sorrido di quel sorrido che lui conosce bene. Lui mi racconta della sua vita Olandese, temporanea come la mia, e dei suoi nuovi incontri, del suo mentore, una ragazza Italiana di Pisa. Gli dico che dovrebbe provarci, perchè io sono una disinvolta e incentivo i miei ex ragazzi a saltare addosso a chiunque gli capiti a tiro.

E lì lui si mette a parlare di porte. Dice che ha chiuso parecchie porte e prima di aprirne di nuove vorrebbe cercare di capire se ne ha lasciata una socchiusa. Forse ci vedremo la prossima settimana. Forse.

Di lui mi piace che posso prenderlo in giro e lui può prendere in giro me. È bello ed insieme siamo uno il complemento dell’altro. Lui capisce quello che faccio al lavoro, frustrazioni, scazzi, (rare) gioie. Crede che io sappia cucinare,l’illuso. Tra noi due lui è la fighetta, io sono quella tutta d’un pezzo che dà consigli e sa consolare. Lui è la drama queen della situazione e la interpreta con la maestria di uno che ha vissuto in un paese del Sud Europa per tutta la vita con una punta di esoticità lasciata da quegli anni in cui era nella sua isoletta in mezzo all’Atlantico.

Di lui non mi piace che per almeno altri quattro mesi non saremo nella stessa nazione e nemmeno in paesi confinanti. Russa come un trattore e ovviamente dorme abbracciato a me, con la pesta appoggiata al mio collo. A volte non sa di avere torto e non sa fermarsi anche quando sa di fare un errore. Di lui non mi piace che tradì la sua ragazza di allora (con me…) e lei non lo è mai venuto a sapere.

Penso alle porte, socchiuse e non, al fatto che non mi sono svegliata stanotte a pensare quanto sarebbe bello se ci incontrassimo la prossima settimana, ma ho sognato l’altro, quello della finestra, quello che mi fa scrollare le spalle. Poi oggi quando il maledetto subconscio era domato ho pensato alle porte, se aprirle, se lasciarle come sono.

Ho promessa a me stessa di ricordarmi che devo morire, penso che farsi prendere dall’entusiasmo per essere finalmente nello stesso posto possa giustificare un incontro, ma quanti altri fine settimana dovremo incontrarci prima di capire cosa dobbiamo fare con questa porta?

Caro Babbo Natale, porta un po’ di buon senso in Olanda.

Devo rivelare che prima di scrivere un post passo ore, a volte giorni, a cercare una canzone che faccia da sottofondo. Mi piace trovare una canzone che in qualche modo si riconduca al contenuto di ciò che ho intenzione di scrivere, e mi piace trovare una canzone che mi piace. A volte il nesso tra la canzone e il post è palese, altre volte è uno stupido gioco di parole, altre volte ancora c’ho le mie cose e decido io quello che voglio mettere e basta così.

In questo caso volevo mettere una bella canzone di un artista Olandese. Idea banale ma tutto sommato pertinente. Allora mi accoccolo sulla mia poltrona con il portatile sulle ginocchia (che è il mio locus amoenus per scrivere) e penso. Penso. Penso. Penso di non conoscere nessun cantante Olandese. Tuttavia, in casi estremi come questi c’è sempre Wikipedia. Della interminabile lista di cantanti di dubbia fama Olandesi ho riconosciuto, due punti, elenco numerato, 1. Anouk (che credevo Finlandese), 2. i van Halen (ma nemmeno tutti i Van Halen, solo il bassista e il fonico, tipo) e 3. i Caesars. Gli ultimi li conosciamo per questo motivetto, apposto qui sopra che tanto ci piace cantare a perdi voce, ignari del significato del testo. Quindi questo vi tocca.

Ho trovato questa ricerca abbastanza esemplificativa di quello che è la vita in Olanda. Il loro modo di vivere va secondo alla regola che hanno quello che gli serve ma rifiutano l’eccesso. Fatta eccezione con l’eccesso alcolico, chè quello dalle Alpi in su è un requisito minimo per la cittadinanza.

Per quanto ne posso aver capito io (che ricordiamo essere in questi lidi da due mesi e quindi non sono la voce più autorevole in socio-psicologia Olandese) tutto quel mito della combo droga-sesso legale non è altro che un richiamo per turisti. Non senti due che discorrono per strada accordandosi per la cannetta del giovedì, quindi non pensiate che questi trombino o fumino con la stessa frequenza con cui giocano a squash (e io non ho mai visto tanti campi di squash in tutta la mia vita).

Dicevo che questi Olandesi sono una noia. Noia. No-ia.

Se già gli Svedesi non sono questa vagonata di simpatia, almeno sono carucci e sono sempre posati e gentili e a confronto mi trovo a rimpiangere i Vichinghi. Infatti un clichè sugli Olandesi (che in realtà è un dato di fatto) è che siano persone molto schiette, gente che non te la manda a dire. Se devono farti un’osservazione non si preoccupano certo di indorare la pillola e vanno dritti al punto che questi non hanno mica tempo da perdere (che alle 6 devono cenare!) quindi la reazione media del non Olandese è una forte depressione e la sensazione che il mondo (Olandese) ce l’abbia con lui. In realtà loro lo fanno per te e per la tua crescita personale, però cari miei se foste in grado di far crescere anche le vostre capacità dialettiche non sarebbe male.

Quantomeno tutta questa voglia di dire la propria potrebbe essere sfruttata per darti un onesto parere quando devi andare a fare shopping, così eviteremmo di comprare tubini aderenti di paillettes rossi, per dire.

Ah, no dimenticavo. Non esiste un qualsivoglia gusto nel vestire. Dal lunedì alla domenica qui ci si mette le stesse cose, le stesse scarpe, lo stesso trucco. Si salvano con le megagalattiche catene intercontinentali, il caro socialismo fashion della Scandinavia, perchè se aspettavamo di vedere la moda autoctona allora mi sarei trovata a rimpiangere le bancarelle dei Cinesi del mercato del Mercoledì. Enzo Miccio, perdonali perchè non sanno quello che fanno.

Ma torniamo in carreggiata perchè se ho voluto scrivere questo post è perchè volevo infamare questa nazione per la barbarie con cui festeggiano il Natale. Erano i primi di Novembre e ricevo una e-mail annunciando di non prendere impegni per il 5 di Dicembre (largo anticipo tutto Nord Europeo) che si sarebbe festeggiato San Nicola al Dipartimento in cui lavoro. La missiva era firmata da un certo Pietro Nero (Zwarte Piet), lì per lì non gli do peso e mi concentro a ridere di loro perchè mandano queste mail quando ho ancora il crone di halloween in faccia. Solo dopo capii che il problema era un altro.

L’ultimo fine settimana di Novembre mi trovavo in centro per alcune commissioni e mi accorgo che un preoccupante numero di bambini è vestito con un costume tipo paggetto fatto al 200% acrilico che se due bambini si scontrano si rischia l’autocombustione. Il modello è questo, se foste interessati in usi e soprattutto costumi. La cosa mi puzza ma continuo a pensare che questi Olandesi sono dei burloni e forse il 24 Novembre è il Paggeto-Day. Solo dopo capirò che quel giorno arrivava San Nicola, in persona personalmente, da Madrid per festeggiare il compleanno in Olanda (scelta peraltro discutibile) a bordo di una nave che sarebbe arrivata a destinazione solo quindici giorni dopo (maledette chiuse Olandesi). A bordo della nave, il vegliardo Nicola e frotte di Pietri Neri. Che sono più o meno così:

San Nicola, Pietri Neri e un bambino che a giudicare dalla faccia sta vivendo uno degli attimi più felici della sua vita

Io, oltre a non essere un esperto in socio-psicologia Olandese, non ho nemmeno preso una laurea in storia moderna, però se non ricordo male gli Olandesi hanno avuto un periodo in cui andavano in lungo e in largo per i mari colonizzando instaurando relazioni di natura politico-economica con nazioni extra Europee. E se tanto mi da tanto questi hanno fatto due conti e hanno pensato: “Facciamo una cosa divertentissima: San Nicola arriva a bordo di una nave e i suoi aiutanti sono tanti uomini di colore, che tanto ci sono utili nei nostri possedimenti oltre mare e che lavorano così alacremente senza essere pagati! Come siamo simpatici! Tutti i bambini lo adoreranno!”.

In pratica, ogni anno in Olanda si festeggia il Natale al gusto colonialismo, con miriadi di adulti e bambini che si colorano il viso come un natio del Gabon incuranti di tutto lo schifo che i loro avi hanno disseminato in passato per il mondo.

Un po’ come se i bambini Tedeschi si vestissero da piccoli Hitler a Pasqua.

Per questo invoco e chiedo:

Caro Babbo Natale,

se ci sei davvero vieni a riprenderti il tuo fratello scemo San Nicola e tutta la sua corte sub-equatoriale. Riporta un po’ di buon senso in questa nazione, dona loro buon gusto, decenza e se riesci fagli chiudere quella bocca ogni tanto. 

In fondo sono brave persone e se me la prendo con loro è solo perchè ho un blog su cui scrivere e non li posso dipingere a tinte pastello, altrimenti sarei noiosa. Però devo confermare che sono tirchi. Tirchissimi. Babbo, già che ci sei, fagli spendere un po’ di soldi a cazzo e se non li vogliono spendere prendi una banconota dai loro portafogli e fai una donazione all’Unicef o una roba del genere, che almeno fanno del bene in giro e spargiamo un po’ di buoni sentimenti che è Natale (quasi).

Per me Babbo non portare niente che a me ci penso io e per quest’anno va bene così.

Ci si vede in giro,

Tua Frou (un po’ Svedese ma non Olandese)

I sogni son desideri chiusi in fondo al cuor

Che è un po una banalità verità universale. Tutti abbiamo dei sogni irrealizzati che giacciono in qualche angolo della nostra mente. E non necessariamente questi sogni devono servire come canovaccio per un nuovo libro delle 50 Sfumature di dio sa cosa.

Esistono sogni che sono innocenti e che rincorriamo per anni e anni, infiocchettandoli, aggiungendo dettagli. Questi sogni sono a volte stupidi, alimentati di sovraesposizione a telefilm Americani di serie B, chiacchiere con amiche dal cervello impallato dagli ormoni e una buona dose di seghe mentali.

Un sogno che mi ha rincorso per un bel po’ di tempo è quella di trovare l’amore della mia vita forever and ever nella macchina in coda affianco alla mia ad un semaforo.

Che diciamocelo, è un sogno stupido, ma già pregustavo il sapore di raccontare ai miei bisnipoti la storia di come quella vegliarda della loro bisnonna aveva accalappiato quel rincoglionito che sedeva accanto a lei con la copertina sulle ginocchia. E sì, secondo me l’amore dopo i 70 è la cosa più bella che esiste.

Comunque, ai miei bisnipoti io avrei raccontato di come quel giorno lontano in cui la gente si muoveva ancora in macchina (Innamorarsi in macchina! Sarebbe un po’ come innamorarsi con una canzone al juke-box per i giorni nostri.). Io ero arrivata ad un semaforo e stavo aspettando impaziente il verde per sfrecciare a bordo della mia Polo Blu immatricolata nel 1997, ma il verde non arrivava. Noto una macchina di un colore imbarazzante che mi si affianca e getto un occhio al guidatore per vedere chi ha avuto il coraggio di salire su una macchina di un colore simile. (Il bisnonno ideale ovviamente non sarebbe stato a bordo di una Ferrari o una Mini Cooper: il mio principe azzurro sarebbe arrivato a bordo di una Fiat Brava color verde metallizzato.)

E lo vedo.

Lui è lì, bellissimo, che in assoluta sincronia con me si gira. I nostri occhi si incontrano e rimaniamo sospesi a mezz’aria per un secondo. Poi sorridiamo. E sorridiamo e ancora sorridiamo.

A rompere l’idillio arrivano i clacson che ci ricordano dove siamo e cosa stiamo facendo: blocchiamo il traffico. Basta un cenno della testa che si sposta veloce verso destra e ci intendiamo subito: accosta appena puoi.

Questo sogno è rimasto tale, non mi sono mai innamorata di alcun uomo alla guida di una macchina e tanto meno di una Fiat Brava. In parte la colpa di questo fallimento è dovuta al fatto che da quando ho preso la patente io (Estate 2004) c’è stato un progressivo smantellamento dei semafori a favore delle meno romantiche (ma più pratiche) rotonde. Che uno in una rotonda deve guardare se riesce a infilarsi senza che qualcuno gli entri con il cofano nella portiera e non ha tempo a fare gli occhi da cerbiatto al guidatore che gli si affianca sorpassandolo a destra. Tutt’al più partono un paio di madonne fatte bene con gesti vari in allegato.

Ecco, io avevo questo sogno e sono dovuta venire fino in Olanda per realizzarlo.

Ero in bicicletta a un semaforo e un motorino si affianca. (Perchè voi dovete sapere che le piste ciclabili olandesi sono per cicli e motocicli: praticamente è un po’ come andare in autostrada in apecar.)

Mi dice parole d’amore in una lingua sconosciuta.

Gli faccio: no no no! Io non parlo olandese.

Lui mi fa un sorriso con dei denti gialli sconnessi da fumatore e una faccia che non vorresti incontrare in un vicolo scuro di notte e mi dice: ho detto che non devo schiacciare il bottone per far scattare il verde perchè già l’hai fatto tu.

E poi attacca pure bottone.

E il verde non arriva mai.

E io nel mio sogno ero sulla mia macchina e non dovevo sostenere una conversazione con uno sconosciuto che nel tempo di un semaforo sorride e vuole sapere tutti gli stracazzi miei, dall’anagrafica all’ultima residenza.

E poi il verde finalmente arriva e lui sfreccia via e io mi isso sui pedali per far partire sto bolide di bicicletta svedese che pesa più di me.

E anche se il mio sogno realizzato si è rivelato una macchietta di come me lo ero immaginato io sorrido lo stesso, con i miei denti da apparecchio ortodontico che mi ha perseguitato per tutta l’adolescenza, perchè alla fine è successo.

E io non mi sono innamorata ma alla fine va bene anche così.

Chè alla fine i sogni saranno anche desideri, ma sono per lo più processi psichici inconsci caratterizzati da immagini che si compiono durante il sonno, cioè aria fritta.

Una musica può fare

Devo ingannare il tempo per quasi due ore su un intercity Olandese che di intercity ha solo il nome visto che fermerà praticamente ad ogni stazione sulla via. Altra cosa che devo ingannare è la mia vescica, che qua sono in un mare di bagagli e io di questi Olandesi non mi fido ancora. Non so se posso dirgli di dare un occhio alla mia roba per un minuto e poi quando torno non ritrovo nemmeno la bottiglietta dell’acqua (che ho bevuto, ergo questo problema potrebbe rivelarsi più annoso del previsto).

Per via di numerosi clichè internazionali ad oggi, Domenica 7 ottobre 2012, ho un’opinione piuttosto bassa di sta gente. (E’ appena passato il controllore, mi ha detto qualcosa di incomprensibile. Ma come cazzo parlano?!). Ho qualche amico Olandese e mi sono sempre sembrati un popolo di gente altissima ma con il braccino cortissimo e con l’attenzione verso il centesimo, che chissà come faranno adesso che in Svezia non ci sono più le öre. A dimostrazione di questa teoria ci tenevo a farvi sapere che alla stazione ferroviaria dell’aeroporto di Schipol hanno il tabellone che annuncia i treni sui binari con i nomi e gli orari rotanti, quelli con le caselline che girano e che fanno tatatatatatatatata e compongono nomi e orari del prossimo treno in arrivo. Penso che anche alla Stazione di Bressana Bottarone si siano evoluti verso la digitalizzazione dell’annuncio dei treni ma tant’è: questi hanno deciso che gli piace il retrò. (E per quanto vi possa interessare, il retrò è il nuovo hipster).

(E qui sul treno continuano a dir su in Olandese e io non capisco una virgola. Mi chiedo se arriverò mai e  soprattutto dove arriverò.)

Ricapitolando, io sono su un treno in Olanda (che al momento è fermo nel posto più buio del mondo) perché da adesso la storia cambia. Almeno per un po’.

Quindi ecco qua l’appartamento Olandese. Rassicuro i filo-scandinavi che la versione Svedese tornerà anche se solo tra qualche mese. L’appartamento Svedese al momento è semivuoto, probabilmente c’avrò dimenticato qualcosa che mi servirà tantissimo e mi morderò le mani per questo. L’appartamento l’ho lasciato poche ore fa e stranamente non c’è stato nessun momento catartico. Mi riferisco a uno di quei momenti in cui sembra che la tua vita sia diventata il pezzo di un film in cui tu cammini sulle note di questa canzone carismaticissima ed hai in faccia una di quelle espressioni che dicono che tu, della vita, hai capito tutto, e l’hai capito lì e in quel momento.

Un grosso freno alla catarsi può essere il fatto che mi barcamenavo con cinque pezzi di bagaglio di varie forme, pesi e dimensioni, chiaro segno di mancanza di ogni qualsivoglia arte della sintesi del bagaglio né tantomeno del gusto per l’assortimento delle valigie.

Un altro freno al momento catartico è stato la poco azzeccata colonna sonora, elargita da un lettore in modalità random, in cui il pezzo più notabile era What If dei Bombay Bicycle Club (If only one of us got the guts tonight… dice. Che è un po’ un sempreverde della mia vita amorosa ed è più in generale una bella canzone, ma oggi e solo oggi c’entrava come i cavoli a merenda).

Il momento catartico se mai c’è stato potrebbe essere arrivato ieri quando tornavo a casa a tarda notte sulle note di Home di Edward Sharpe and the Magnetic Zeros. (Ok, è passato un venditore di merendine e diceva “Shnickersh” e “Marsh” e a me fa riderissimo). Ma se Home is wherever I’m with you, allora mi chiedo se avere un appartamento (o più d’uno, come nel mio caso) abbia senso quando non c’è qualcuno con cui condividerlo. Ma del doman non c’è certezza e farsi queste paturnie va bene solo a una cert’ora della notte tornando a casa allegrotti dopo una serata Svedese (l’ultima serata Svedese per un po’).

Allora se il momento perfetto in pendant con la canzone (un po’ alla 500 Days Of Summer) non viene da sé lo si può sempre forzare e a questo proposito ci hanno pensato i Mumford and Sons.

Questi Mumford and Sons hanno fatto un primo album Sigh No More qualche anno fa, che casualmente ho iniziato ad ascoltare appena mi ero trasferita in Svezia e Little Lion Man era diventata la mia sigla personale per far fronte all’inizio del periodo Svedese che non è stato uno dei più entusiasmanti della mia vita. Altrettanto casualmente hanno rilasciato il loro secondo album Babel un paio di settimane fa, proprio alla vigilia della mia seconda partenza (io adoro crogiolarmi in questi irrilevanti segni del destino e costruirci sopra castelli con torri e fossati, nel caso non si fosse ancora capito) e da allora è stato una presenza costante nella mia playlist di tutti i giorni.

Questo disco contiene 16 canzoni che al primo ascolto sono indistinguibili e dopo un’ora di banjo e cantate a bocca aperta uno si chiede se a questi il dono della fantasia non sia stato elargito. Poi, con il tempo ogni canzone ha una sua vita, un suo spirito e diventano ognuna un pezzo particolare, forse non eccezionalmente bello, ma comunque un’entità a sé stante in quella parte del cervello dedicata a riconoscere le canzoni con solo tre note, tipo Sarabanda. Una delle canzoni più belle di quest’album è forse il singolo I will wait, che è già diventato l’inno di chiunque abbia un fidanzato lontano, ed è anche notabile una cover di The boxer di Simon e Garfunkel, che a me Simon e Garfunkel fanno tanto vacanza con la famiglia visto che era la passione dei miei genitori quando erano più giovani (e che infatti mi volevano chiamare Cecilia, incuranti che quella stronza rompeva cuori e abbassava autostime quotidianamente).

In quest’album c’è anche una canzone intitolata The Holland Road, che per una che va in Olanda e che cerca una scusa per immedesimarsi in una canzone, è un’occasione da non lasciarsi scappare. Sfortunatamente, la canzone non parla di una giovane che vaga per l’Europa di nazione in nazione, ma di un tale sofferente per amore che a un bel momento imbocca una Holland Road qualsiasi per una non meglio precisata ragione.

Non si può avere tutto dalla vita, probabilmente.

Però si può avere un inizio nuovo in Olanda, anche senza una cazzutissima colonna sonora.

Emotionally impaired

Non c’è modo di tradurlo in italiano, mi irritano i titoli immotivatamente inglesi ma qui c’è da piegarsi alla concisione sassone e tenersi questa espressione.

Oggi va così. sono in mezzo a valigie e pacchetti chè domani si torna in terra natìa.

Oggi poi è anche stato l’ulitmo giorno con la studentessa che ho avuto sotto la mia ala per sei mesi. Se ne va a cercare fortuna in Inghilterra e oggi ci siamo ufficialmente salutate, anche se saremo in contatto via mail per via di tesi e articoli. Resta che anche lei è una che sparisce dalla faccia della (mia terra). Come il mio amico Belga che se ne è andato ieri, come la mia amica Portoghese che saluterò stasera, come tanti altri poi.

Oggi ho ricevuto la conferma che l’appartamento Svedese diventerà l’appartamento Olandese quest’autunno. Ho iniziato a cercare casa e mi sono trovata sommersa da clausole e postille minacciose, che mi minacciano di morte e altre disgrazie in caso non segua alla lettera le assurde richieste dell’Ufficio per l’affitto delle case a prezzi esosi in Olanda. Alla sola idea di dovermi trasferire mi viene il vomito. Un po’ perchè crogiolarmi nella pigrizia della routine mi rassicura, un po’ perchè fa sempre un certo effetto trasferirsi anche se per poco. Anche un po’ perchè ci sono tante cose da fare, problemi da affrontare, incertezze da colmare, e-mail da scrivere, idee da avere.

Oggi è anche l’ultima sera che sono qui e visto che c’è il sole andremo a vedere la partita nel pub in piazza. Saremo in un po’ e non mancheranno i problemi. Ci saranno diversi amici, gente che non si sopporta a vicenda, gente che mi è venuta a noia e magari (spero) ci sia anche Legit. Purtroppo sono riuscita a far partire la macchina della fantasia e al momento sto viaggiando a cento all’ora sull’autostrada delle seghe mentali. Per dirne una, quando ho ricevuto il messaggio della SAS per fare il check-in e sul cellulare ho visto un numero sconosciuto, ho “perso un battito” e il primo pensiero è stato a lui e a un suo messaggio. Cose da neuro-deliri.

Troppe emozioni oggi. Mi sento come dopo a un concerto in cui hai sentito musica a tutto volume e alla fine per un po’ non riesci a sentire bene e tutto sembra ovattato. Emozioni che collidono e si mischiano e non capisci più bene cosa è bello e cosa no. Panico, Farfalle nello Stomaco, Stress, Tristezza in unico frullatone. Più o meno così.

Mancano cinque ore e mezza alla fine di oggi.

Ce la posso fare.