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I think that I wanna be inside you when the sun goes down
Come non iniziare una fantastica settimana lavorativa cantando le peggio cose in laboratorio?
Ultimamente il mio lavoro è diventato un po’ ripetitivo e per non addormentarmi con la testa tra le provette ho bisogno di un aiutino. Per questo, grazie a Spotify e alla miriade di boiate che ti permette di ascoltare, mi sono messa in modalità “Pompa nelle casse” e ho iniziato a lavorare con un beat incalzante da sabato sera. Se a qualcuno interessa è questo qua.
Il problema della musica elettronica, secondo me, è che se sono concentrata sulla musica e sul suono mi annoio subito ma invece la trovo un ottimo sottofondo per lavori tediose, tipo faccende di casa e cinetiche enzimatiche.
Dopo un paio di canzoni già pipettavo a ritmo, ma arrivata alla canzone che c’è lì sopra (spero vivamente che l’abbiate già fatta partire, altrimenti questo è il momento!) ho iniziato a canticchiare. E nonostante un’eccellente padronanza dell’inglese, scarse doti da usignolo e una certa incompatibilità anatomica, ho espresso ad alta voce la propensione per certe attività ludiche al crepuscolo.
L’audience di questa performance fortunatamente non era nell’ordine di grandezza della platea di Glastonbury, per cui confido nel rumore delle macchine e nell’assorbimento nel lavoro del post-doc che ha presenziato a questo terribile momento. Per la cronaca il post-doc non si è presentato con una faccia alla “Buonaseeeeeeeera” verso le sei per cui dovremmo essere salvi.
PS: non temete, da domani la zarra che c’è in me si taglierà le vene per fare pendant con il nuovo disco degli Afterhours, già acquistato e in attesa di averlo tra le mani dal vivo. Per cui dite addio alle facezie che da adesso si cambia musica!
Padania
(ormone da teenager: ON)
E’ da un pò di tempo che con accanimento ai limiti del patologico controllo il sito degli afterhours per carpire anticipazioni sul nuovo album. Questo pezzo d’arte era stato annunciato già per il 2011 ma poi per questa o quell’altra ragione è slittato di un anno e uscirà (per quei tre o quattro che ancora non lo sanno!) il 17 Aprile. Il titolo dell’album è arrivato fresco-fresco oggi: Padania. Il titolo, non a caso è provocatorio e a mio parere irritante, nello stesso modo in cui “Forza Italia” era irritante ma al contrario. Io infatti vorrei urlare al mondo Padania sta arrivando ma non posso farlo perchè altrimenti devo mettere mille chiarificazioni, dire che sto parlando del disco delLa Band e non del partito. Mancano solo 47 giorni e poi tutto il mondo saprà, quindi tanto vale aspettare.
Nel frattempo sono già ricominciati gli ascolti degli album passati, per entrare nell’atmosfera dell’Afterhour pensiero, che vado ora a riassumere.
La vita è una continua sofferenza.
Se qualcosa può andare male lo farà (non è la legge di Murphy (?), ma di Manuel Agnelli!).
Si soffre per amore più volte di quante ci si innamora. Il rimestarsi le budella negli spettri del passato è d’obbligo. Continuamente. Anche in inglese.
Il passato è il grande protagonista: c’è un futuro solo perchè ci possa essere poi un passato in cui contrirsi.
Elemento fondamentale delle canzoni degli Afterhours sono i corpi (labbra, pelle, mani, cuore, reni (!)). Ed è per questo che le senti così vere e materiali: tutti (o quasi) abbiamo due reni. Sul cuore ne possiamo discutere.
Ho già detto che la vita è una continua sofferenza?
A questo punto devo fare un piccolo outing: ho iniziato (e poi continuato) ad ascoltare gli Afterhours con costanza nel 2008, ai tempi di “I milanesi ammazzano il sabato” (devo aggiungere che questo titolo è geniale?). La ragione scatenante era che il mio ragazzo d’allora suonava in un gruppo. Tale gruppo aveva un mucchietto di canzoni scritte da loro che ammontava a un massimo di cinque o sei e allora diventava dura riempire la scaletta di un concerto nel pub, per cui infilavano qua e là cover, prevalentemente Verdena, Timoria e Afterhours (gioia di vivere a palate!!!). Quando ancora eravamo nella fase “wannabe groupie” andai al concerto e ascoltai “Dentro Marilyn”. Credendo che fosse una loro canzone, estasiata da cotanta poesia, mi complimento per il capolavoro. Peccato non fosse il loro. E da lì è stato l’inizio della fine. Fedeli compagni di paranoie, gli Afterhours ci sono stati in ogni momento pietoso.
Ironia a parte, sono già in trepidazione per il nuovo album: primavera è tempo di amori, gli amori portano sofferenza, le sofferenza necessitano gli Afterhours!