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Sui giovani (Italiani) d’ oggi ci scatarro su (ma non a tutti)
Sarà che l’incombente inverno rende tutti un po’ più irascibili, sarà che con il passare degli anni mi rincoglionisco pure io, sarà che quando mi metto in testa qualcosa vedo il marcio da ogni parte. C’è che ultimamente sono in polemica permanente.
All’inizio fu un articolo dell’Huffington Post (English version, bitch) in cui si sproloquiava di unicorni, di bambini della mia età “speciali” e di infelicità. Questo articolo, proprio lui, è stato quello che ha scoperchiato il mio barattolino di rabbia indiscriminata, che ogni tanto mi tocca riversare su qualcosa/qualcuno. Ci sarebbe da parlarne in lungo e in largo di questo capolavoro di idiozia in lingua anglosassone, che non solo parla di (quelli come) me dipingendoci come una macchietta, un cocktail di hipster da giardino, figlio-di-papà con una puntina di Hello Kitty. Ma non ne parlerò, perchè la mia ira funesta è stata ben presto ricollocata, forse sempre per colpa di quest’articolo.
Mi sono messa ad osservare i GGiovani Itagliani, quelli che mi trovo attorno qui nelle mie lande desolate, quelli con cui entro in contatto (volente o nolente) attraverso i social network. Inizialmente volevo vedere se anche loro erano come quelli di cui il genio dell’Huffington Post andava blaterando oppure se ci fosse, da qualche parte, ancora speranza per il genere umano tutto.
Poi qualcosa è andato storto.
L’inizio della fine è stata questo gruppo facebook (In italiano, cumpà!), a cui sono stata aggiunta controvoglia e che appunto ritengo sia un interessante esperimento sociologico, e solo marginalmente un luogo in cui posso trovare informazioni interessanti. Su cotale pagina, si radunano una miriade di sedicenti ricercatori che dai quattro angoli del globo terracqueo cercano di condividere cose: si va da richieste di semi-sopravvivenza (appartamenti, consigli su una città in cui trasferirsi) ai discorsoni scientifici in cui io il pubblico medio partecipante ha sempre l’aria o di un signore attempato con tuba, bastone, sigaro che degusta uno scotch o di uno del pubblico di Uomini e Donne. Uno normale, MAI.
Spesso e volentieri su questa pagina vengono proposti articoli scientifici o para-scientifici, tipo quelli che appaiono in fondo al paginone di Repubblica che annunciano la scoperta della panacea di tutti i mali. Ovviamente dietro a questa scoperta c’è l’imprescendibile contributo un ricercatore Italiano, un cervello in fuga (dio che odio questa formula!) che sorride in una foto fatta di sbieco mentre millanta di lavorare in laboratorio. Nell’articolo compare sempre un paragrafetto in cui si racconta della vita pregressa del ricercatore e, puntualmente, si fa notare che il povero cristo è dovuto andarsene, ahilui!, dal suolo natio. E tu te lo vedi nella tua mente, lui (o lei) che mogio mogio s’incammina verso un brillante futuro mentre si trascina una valigia fatta di stracci e cartone e c’ha proprio la morte nel cuore. Ma lui (o lei) va! Va! Perchè il suo posto è là (Pooh in sottofondo, lacrimuccia di rappresentanza, sipario, applausi).
Ogni volta che qualche sciagurato mette un articolo di questi subito partono in coro gli Amici di Maria de Filippi che si mettono a sbraitare che l’Italia è un posto de mmerda, che nun ce la si fa a vive in Italia, che c’è da vergognasse, che fa bbene ad annassene. Perchè nella mia mente gli Amici di Maria vivono tutti ad Anagnina (amici di Roma, non abbiatene! vi voglio bene ma la mia fantasia galoppante ha la meglio!).
L’Italia è il male assoluto. L’estero è il paradiso.
A sentire gli Amici di Maria, spostarsi oltre i confini nazionali è condizione necessaria e sufficiente per avere un futuro mejo, un lavoro mejo, una vita un sacco mejo insomma. Quindi io, che all’estero ci sono, mi guardo attorno e cerco di capire cosa ne pensano quelli che all’estero ci sono. Ma dato che sono in fase polemica, nemmeno quello che vedo qua intorno mi piace: qua vivo nell’ostracismo dilagante di Italiani nei confronti di altri Italiani.
Lo conosci quello. No, gli ho parlato una volta ma è Italiano. Eh, lo so, pure tu sei Italiano, qual è il problema? Nessun problema, gli ho parlato una volta perchè, dai, si vede proprio che è Italiano e io non me la volevo tirare e far finta di non averlo riconosciuto, ma poi basta, non voglio avervi niente a che fare, è Italiano!
Questa conversazione è realmente avvenuta, che mestizia. Perchè l’Italiano in pianta più o meno stabile all’estero diffida da ciò che è simile a lui. Non si abbassa a parlare con chi ha la carta d’identità uguale alla sua (perchè la carta d’identità di carta ce l’abbiamo solo noi!). E se da una parte posso capire questa spocchia, perchè sono venuto fino a qua per conoscere uno che abita a 50 chilometri da casa mia?, dall’altra mi chiedo se non sia possibile almeno accordargli una possibilità a questo povero connazionale, che magari anche se parla con il tuo stesso accento è una brava persona, potreste diventare amici, magari non amici-amici ma male non ti farà, dai! Sono d’accordo che non dobbiamo fare come gli Spagnoli che sono sempre la metà di mille, con il vino nella bottiglia della coca cola che fanno un bordello incredibile, però scambiare due parole con un po’ di cortesia e un minimo di apertura mentale si può fare!
In conclusione, all’estero, Italiani uguale inferno. Stranieri uguale paradiso.
Quindi, tirando le somme dell’esperienza di vita vissuta e quella farlocca di facebook, Italia cacca, sempre e comunque, non importa dove sei.
Invece, per me, che me ne sono partita con una strabordante valigia semirigida in una giornata di sole, che non sono dell’Anagnina, che ho amici Italiani qui, un po’ di selezionati conterranei, che nonostante tutte le boiate che mi tocca leggere su Repubblica (la politica, gli scandali, il mal costume, i Dudù), ecco io a quel paese lì gli voglio ancora bene.
Semmai, gli voglio più bene adesso che non quando c’ero, e a suo modo voglio bene anche a tutti quelli che ci abitano. Voglio un po’ meno bene agli Amici di Maria, a quelli che se la tirano e quelli che hanno votato il Movimento 5 Stelle. Però gli voglio bene uguale, un po’ come si vuole bene al cugino scemo.
(…continua)
L’importante è partecipare
Come se fosse necessario un ennesimo commento a questa tornata elettorale. Come se a qualcuno gliene importasse qualcosa, io lo voglio raccontare.
Nel caso non si fosse capito, io abito in Svezia e non mi sono voluta iscrivere all’AIRE, per cui mi prendo le mie responsabilità e muovo il culo, prenotando con mesi di anticipo il volo, spendendo poco con una compagnia low-cost. No, non quella Irlandese, l’altra.
Esco da lavoro verso le tre per non perdere il volo, mi precipito in aeroporto e dopo che il personale di terra ci ha stipato oltre i cancelletti dell’imbarco, come un branco di lama, aspettiamo che si aprano le porte. All’improvviso un annuncio “Ops, si sono rotti i freni”. Niente paura, solo sette ore dopo arriverà un altro aereo per portarci a destinazione.
L’aereo decolla nel cuore della notte ma dopo poco sono svegliata da un odore acido. Il ragazzo seduto dietro di me aveva deciso di ammazzare l’attesa in aeroporto bevendosi una caraffa di birra (cioè, un sudoku, no?) e si è messo a vomitare a spruzzo. Lo trascinano in bagno, ma nel frattempo due dei suoi amici vomitano pure loro per simpatia. E su un aereo non è che puoi aprire un finestrino, ecco. Arrivo alle cinque di mattina a casa disgustata e stremata, ringraziando quelle anime pie dei miei genitori che mi sono venuti a prendere all’aeroporto ad un orario improponibile, in un revival dei vecchi tempi in cui andavamo a ballare e poi c’era il genitore sfigato di turno che ti veniva a prendere alle 3 e un quarto.
Il giorno dopo, con troppe poche ore di sonno sulle spalle, arriva Narnia. Venti centimetri di neve si sono ammonticchiati nel giro di qualche ora, le strade erano impraticabili perchè alla provincia hanno tirato la cinghia sui mezzi antineve e io ero bloccata a casa e non ho potuto incontrare i miei amici.
Domenica sono andata a votare, prima del primo rilevamento a mezzogiorno, come al solito, nel turno con gli anziani coi problemi di insonnia, dei contadinotti che scendono in paese per il mercato e delle beghine che vanno a messa. So che è il turno degli sfigati ma le tradizioni sono tradizioni e lo faccio per dare un vago valore statistico a questi rilevamenti del Quirinale.
Lunedì mio padre mi dà un passaggio in aeroporto. Abbiamo chiacchierato tanto, una di quelle chiacchiere intense come la giornata che sarebbe arrivata da lì a poco. Abbiamo parlato di lavoro, di futuro e di politica. Lui era ottimista, credeva che si sarebbero smacchiati leopardi, giaguari e tutte le fantasie animalier. L’ho abbracciato forte e l’ho salutato con un sorriso in faccia, credendoci anche.
L’imbarco per l’aereo del ritorno era alle 3, in concomitanza con l’uscita delgi exit-poll, maledetta a me e a quando prenoto gli aerei senza controllare questi dettagli. Non ho internet e gironzolo nervosa in prossimità degli schermi sperando che il finto telegiornale filo-mediaset di Malpensa trasmetta qualcosa che non sia un oroscopo o i risultati di Serie A. Arriva l’ultima chiamata e degli exit-poll neanche l’ombra.
Appena sbarco accendo il telefono. Mi connetto e mentre cammino spedita per il lungo corridoio cerco di caricare la pagina di Repubblica. Sono le cinque e mezza: Bersani è al 37%, Berlusconi al 29%, Grillo sotto il 20. Sussurro “Sì!” e mi avvio spedita verso la stazione dei treni, perdo la connessione wireless che ritroverò solo dopo una mezz’ora.
Quando ho nuovamente accesso a internet e posso ricontrollare i risultati su Repubblica penso ad uno scherzo. Bè, non c’è bisogno di raccontare quello che è successo. Lo sappiamo tutti, lo sanno pure gli Svedesi, quindi conto sul fatto che i risultati elettorali siano di dominio pubblico.
Ho controllato la pagina mille volte: in treno, alla fermata dell’autobus, sull’autobus, ma niente: i risultati si ostinavano a non cambiare. Anzi, se possibile peggioravano! Piango la prima volta sulla via di casa, mentre trascino la valigia. Chi mi ha incrociato deve aver pensato a tutto il peggio del mondo ma di sicuro non che stavo piangendo perchè i miei connazionali sono un branco di pecoroni ignoranti.
Appena arrivo a casa chiamo a casa per un commento a caldo. C’è solo mia madre. Nemmeno un minuto e sono ancora in lacrime. Questa volta piango semplicemente perchè ho ammesso ad alta voce che le elezioni erano andate di merda. Me la prendo quasi con lei, taglio corto e dico che non voglio parlare. Inizio a disfare la mia misera valigia del fine settimana elettorale, cerco di mendare giù qualcosa anche se la fame proprio non c’è.
Visto che mi sono ricomposta decido di chiamare a casa di nuovo a casa per rassicurarli. Stavolta c’è anche mio padre e anche lui come me è visibilmente incazzato, ma cerca lo stesso di rassicurarmi. Dice che comunque le cose si metteranno a posto, in qualche modo, che non mi devo preoccupare, che io sono fortunata perchè sono all’estero e che loro, anche nella peggiore delle ipotesi se la caveranno. Io nel frattempo mi sono messa a piangere di nuovo. Questa volta piango per tutte quelle brave persone come i miei genitori che si ritrovano in questo cul de sac, il risultato di anni di lobotomie di massa, nasi turati, memorie corte.
La serata passa ascoltando La7 e ricevendo messaggi su facebook e skype da tanti amici, anche loro sbigottiti da quanto successo.
In ultimo mi ha chiamato pure lui, quello del tuffo, se ne parlò sul blog l’ultima volta anche qualche tempo fa. Anche con lui è andata in scena la solita tribuna politica, le lamentele, le domande che rimarranno senza risposta (ma se noi non l’abbiamo votato chi l’ha fatto? dici che dobbiamo tornare in Italia a votare un’altra volta?).
Poi abbiamo cambiato discorso. Come a dimenticarci di quello che era successo. Abbiamo parlato di vacanze, di tende, di estati, di primavere, di fine settimana, di aerei. Ho riso finalmente, perchè lui mi fa ridere sempre. Non sono sicura che quei piani prenderanno davvero vita, se l’ho capito almeno un po’ non dovrei sperarci troppo. Almeno per un’ora quella sera non ho pensato a tutti questi brutti pensieri che la mia nazione mi dispensa a larghe mani ogni volta che i suoi cittadini sono chiamati a eleggere democraticamente chi deve rappresentarli.
Giannino voleva Fare per fermare il declino.
Io sono dell’idea di Flirtare per fermare il declino.
Piccolo Spazio Pubblicità
(e questo era 17 anni fa, per dire…)
Avevo sbrodolato una cosa lunghissima su cosa votare, perchè e per come. L’ho cestinata e voglio scrivere solo di un piccolo aneddoto.
Era l’Aprile del 2006, il lunedì delle elezioni. Dopo un ottimistico exit-poll che dava la coalizione guidata da Prodi in vantaggio del 135% su tutti gli avversari di tutto il mondo, si arrivò in serata al vantaggio in Senato di Forza Italia, o il Popolo delle Libertà, o la Casa della Libertà, o come cazzo si chiamava quell’anno tanto ci siamo capiti. Mentre si consumava questo sfacelo, io alle 20.30 di quella sera ero sul divano davanti alla televisione a piangere calde lacrime perchè non ritenevo possibile che gli Italiani avessero votato quell’imbecille e che ce lo saremmo dovuti sorbire per altri cinque anni. Io piangevo proprio con i lacrimoni che sgorgavano e non riuscivo a fermarmi. Per dire quanto non mi avesse già snervato sette anni fa.
Ad oggi la mia immaginazione, seppur fervida, non riesce a concepire come esistano ancora persone su questo pianeta che gli affiderebbero il cane da pisciare, figuriamoci mettergli in mano un paese da governare. Ma tant’è: mia nonna diceva sempre che il mondo è bello perchè è vario.
Io quest’anno per votare devo prendere due aerei e quei santi dei miei genitori mi devono scarrozzare da e per l’aeroporto, per farvi capire quanto mi sbatto per mettere sta sacrosanta crocetta.
Alle 15 di Lunedì, quando si chiuderanno i seggi e verranno rivelati gli exit-poll, io sarò all’aeroporto in coda per imbarcarmi sul volo di ritorno. Se ci tenete alla mia dignità e non volete che io faccia tutto il volo a piangere sulla spalla del mio vicino di sedile (che mediamente è un grande obeso o una coppietta che abusa di desinenze come -pucci, -ccino e -lletto), allora mettetevi una mano sul cuore e fate ciò che è in vostro potere perchè quest’anno non si perpetri un altro abominio al buon senso collettivo.
E votate bene, mi raccomando.
Una scommessa facile
Dopo lo sfogo di qualche giorno fa mi sono ricomposta e torno sul seminato per raccontare di quella volta che sono riuscita a trovare l’unico Svedese Asvedese.
Tutto è cominciato prima di Natale. Sì, lo so, sei mesi e passa per un appuntamento sono dei tempi biblici, ma tant’è. Allora io ero al supermercato che aspettavo che sfornassero le lussekatter e vedo che in attesa come me c’è un altro figuro con un cappuccio che mi si affianca. La prassi Svedese vuole che attorno ad ognuno di noi ci sia un invalicabile cerchio di terrore di almeno due metri che nessuno per nessun motivo futile è tenuto a invadere. Ma l’incappucciato entra a piedi pari nel mio cerchio di terrore e per di più mi inizia a parlare.
Uno Svedese, sobrio, al supermercato, che parla a me. Roba da libri di fantascienza Svedese.
Dopo trenta secondi di chiacchierata in Svedese inciampo sul verbo odorare (che è lukta) e da lì ricominciamo in Inglese. In quei cinque minuti di attesa per il fornaio il mio cervello è in corto circuito, il solo fatto che un indigeno mi rivolga la parola in un modo del tutto inopportuno mi ha già fatto svalvolare e non so come, non so perchè gli avevo già lasciato il mio contatto facebook con lui che sbiascicava parole a caso in Italiano per fare il simpatico. Arrivate le lussekatter ci salutiamo e ognuno va per la propria strada. Io, per la mia strada, ci vado con un sorriso stampato in faccia per aver guadagnato mille punti autostima dopo questo inaspettato incontro.
Una volta tornata a casa e con gli ormoni e i sudori sotto ai livelli di guardia, apro facebook e non trovo niente. Magari tra un pò arriva un messaggio. Magari no. Infatti è la seconda che hai detto. Per un paio di giorni mi sono chiesta se non mi fossi sognata tutto e se avessi intrapreso una conversazione con una persona immaginaria, viste tutte le stranezze di quell’incontro. Cose da chiamate la neuro insomma, con tanto di duemila punti autostima detratti per sempre.
La mia esistenza scorre tranquilla fino a un paio di settimane fa, una sera in cui stavo partecipando a quel delirio collettivo che si chiama Eurovision Song Contest, dove per altro la Svezia ha vinto. A pensarci bene, tutta questa storia ha un chè di assurdo. Dicevo che ero in questa festa con la TV accesa sulle votazioni finali del concorso dove scorrevano fiumi di alcool e tutti erano contenti come se fosse la finale dei mondiali. A un certo punto qualcuno mi mette una mano sulla spalla e chiede “Brigitta?”. Io di Brigitte non ne vedo ma mi rendo conto che quel viso non mi è nuovo. Passa un momento e subito mi sovviene: “Lussekatter!”. Lui mi guarda come si guardano quelli che delirano ma dopo un po’ riesco a spiegargli che di Brigitte non ce ne sono ma tutt’al più sono quella che ha paccato clamorosamente mesi fa. Lui nega tutto e forse per pietà mi richiede nome e cognome. E anche questa volta, non so come, non so perchè glieli ho lasciati. A differenza della volta precedente ora siamo “amici”.
Passano pochi giorni e mentre io mi chiedo se sia una buona idea o meno dare corda a questo losco figuro, considerando tutti gli Svedesi camomilli del caso e le altre questioni morali. Ma pure qui, non so come, non so perchè, ci vediamo Mercoledì scorso. Alla fine penso che essendo lui studente molto probabilmente in poche settimane se ne tornerà a casa. In più abita in un’altra cittadina a mezz’ora di treno da dove sto io. Se anche dovesse andare malerrimo, le possibiltà di rivedersi sono piuttosto basse. Mi convinco che alla fine non ho molto da perdere: questa è una scommessa facile.
L’appuntamento scorre tranquillo ma a tratti fastidiosi segnali emergono. Se ‘sti Svedesi hanno mille difetti, c’è una cosa per cui mi piacciono tantissimo: sono modesti. Invece sul fronte occidentale… Seguono stralci di conversazione.
“Io da piccolo giocavo a calcio nella più alta divisione Svedese (che infatti è un pò lo sport nazionale). Ero bravo perchè correvo velocissimo: anche adesso sarei capace di fare i 100 metri in 12 secondi, magari 11. (E ancora qua sei? Corri!)”
“Che lingue parli? Perchè io parlo Inglese, Francese, Spagnolo, Italiano e Portoghese. Ma il Portoghese ha un accento Brasiliano (Sì, anche a me sembrava. E viste le precedenti affermazioni te lo ha insegnato Kaka)”
“Vuoi che ti canti l’inno Italiano? Lo so! (Questo è uno che si applica)”
Da lì, ci trasferiamo al non sense. In ordine sparso: trip da fumata di canna (in cui asserisce di avere avuto un’epifania su come tutto funziona), cenni all’oroscopo Cinese, sproloqui sugli universi paralleli e lui ci tiene farci sapere che ci crede.
Poi passiamo alla altrettanto spaventosa fase “sono già parte della tua vita” che si articola con: auto-inviti a vari miei impegni mondani nel breve-lungo termine, tra cui figurano una serata Baccalà Portoghese + partita dei mondiali e folli notti in discoteca; affermazioni su come lui mi renderà una persona migliore (ad es. insegnandomi tutto sul calcio, soprattutto dopo che io ho fatto un paio di domande idiote). Il tutto condito da un’inopportuna mano (sua) sul ginocchio (mio) che andava e veniva, ma a volte restava.
Dulcis in fundo, io stavo raccontando uno delle mie storielle preferite (quella volta che sono andata a casa di uno dei leader degli SverigeDemokraterna, che sono la Forza Nuova Svedese, e mi sono ritrovata in questo bugigattolo polveroso con delle regole che nemmeno un convento e io manco lo sapevo chi era quello lì! Ma poi continuandomi a venire fuori nei miei contatti di gmail mi sono stupita molto che lo stesso nome e la stessa faccia fossero sul giornale. Ahah. Fine della storia, non fa riderissimo ma se pensiamo che il leader di un partito Svedese affitta camere a casa sua c’è un po’ da ridere.). Finita la storiella lui mi guarda e dice che questi fascistelli hanno anche ragione su certi punti, certo non su tutti ma non sono poi così da buttar via. Insomma, non solo non apprezzi la storiella ma rincari?
Se già la motivazione stava scendendo adesso è in caduta libera. In quanto a persone con idee politiche malsane ho già dato e va bene così.
Passeggiata veloce d’ordinanza da dopo appuntamento al bar, poi stazione e attesa del treno. Lui ha solo una stazione io tipo diecimila perchè prendiamo il treno più lento della storia della Svezia. Al momento in cui deve scendere c’è quell’imbarazzante frangente in cui qualsiasi cosa tu dica o faccia potrà essere usata contro di te. Quindi, alla luce dei fatti eviterei ogni “Ci vediamo”, “Alla prossima” o “Ci sentiamo”, ma mentre cerco un saluto neutro e ammazza-speranze mi dimentico che esiste tutto un apparato motorio. E quando trovo le parole per dire “Bè, buona serata (!?)” me lo trovo davanti alla faccia e nell’imbarazzo generale ripiego su un bacio a stampo.
Non davo un bacio a stampo così a stampo dai tempi dei bigliettini “Vuoi diventare il mio Moroso? Sì. No. Barra la crocetta”.
Aggiornamenti: Dopo due giorni mi chiama e mi manda una due mail (facendo anche una battuta carina). A sentire facebook, pare che si trasferirà nella mia stessa città a tempi brevissimi. E doveva essere una scommessa facile. Io non ho volgia di fare la malmostosa che gli dice che è una bella persona ma che non ho trovato una forte connessione fra di noi. Per cui ero e sono misteriosamente scomaprsa nell’etere.
Fitter Happier
Questa ve la scrivo a costo di sembrare l’uomo della strada più della strada che si può. Me la hanno proprio tirata fuori oggi ma ho fatto tutto il possibile per rimandarla giù tra le fauci, d’altronde per una che ha detto che gli Svenska Demokraterna alla fine non hanno tutti i torti io il fiato non lo spreco.
Ricapitoliamo i fatti, ultimamente dove lavoro scarseggiano i soldi. Non è come nelle università italiane in cui ci sono tante persone e non ci sono soldi: qui se il tuo progetto non viene più finanziato le cose sono due, o rimani e lavori gratis o altrimenti sai bene dove trovare la porta. Fatto sta che la porta la stanno prendendo in parecchi, spesso per rientrare in un’altra porta in una qualche industria dei paraggi. Il problema è che non c’è per tutti questa possibilità, ad esempio se sei verso i sessanta e non hai mai lavorato per più di tre anni a fila nello stesso posto difficilmente a pochi anni dalla pensione si ammazzeranno per assumerti.
Ed io, proprio con questa persona stavo parlando: una russa che strizza l’occhio agli Svenska Demokraterna (un mix tra lega e forza nuova), seconda metà dei 50 anni, donna, figli di 14 anni avuta con fecondazione assistita, un marito anche lui russo. Gente che non sta bene e non sta male economicamente, una casa di proprietà, vacanze in Egitto d’inverno e in Francia d’estate. Ma lei non riesce a trovare lavoro e non vuole mollare il posto in università anche se non viene pagata, forse per non rimanere in casa a fare la calza o forse per passione.
Così oggi in un momento di sfogo mi chiede come sia la situazione per il lavoro in Italia e io che odio parlare dell’Italia cerco di chiudere in fretta il capitolo e riportare qualche fatto da prima pagina di Repubblica, appunto quello del 30% di disoccupazione tra i giovani e mi mangerei la lingua ora per averlo fatto! Lei attacca bottone e inizia a lamentarsi del fatto che anche in Svezia la disoccupazione è alta, che adesso il sistema del welfare non funziona più come una volta e che lei per sua figlia (russa di sangue ma nata in Svezia!) non vede un futuro in Svezia (cioè, a me lo vieni a dire?). Sì, perchè sua figlia non troverà mai in Svezia un buon lavoro dove può guadagnare bene e vivere in pace (parole sue!).
E proprio qui secondo me sta l’errore: questa smani di guadagnare bene al fine di vivere felice! Ma chi l’ha detto che guadagnare bene è il mezzo per avere la felicità? Intanto, se proprio vuoi che tua figlia possa avere la “tua” felicità inizia a insegnarle che non c’è bisogno che diventi il capo di tutto per avere un buono stipendio: ci sono persone che fanno lavori manuali e che non sono andate all’università che fanno i soldi ed è anche vero che c’è chi ha molta istruzione e un piccolo stipendio.
Ed ecco che arrivo con la mia idea da quattro soldi (un pò in tutti i sensi): ma se lavorassimo tutti e lavorassimo il giusto prendendo un quanto basta per essere contenti, per uscire ogni tanto a cena, per poter prendere una birra con gli amici e magari un bel viaggetto all’anno senza strafare con le mete e con le suite e vasche idromassaggio, non sarebbe meglio per tutti? Invece di ammazzarci per 12 ore al giorno sei giorni a settimana facciamo che dividiamo quello che dobbiamo fare con qualcun’altro e alle 5 ce ne andiamo tutti fuori dalle scatole, dalle famiglie, dai bambini, dai morosi e dagli amici. E anche se non abbiamo una mercedes o una borsa con tante letterine in una fitta texture su pelle cucita da bambini in qualche paese sull’oceano indiano siamo contenti lo stesso. Perchè la crisi non c’è: noi siamo la crisi e la gestiamo come si gestisce un evento infausto, ci si organizza, ci si adatta, si cercano soluzioni.
Allora, chi è con me?
Sfigati
C’era una volta il bamboccione, che il caro Tommaso aveva usato per designare coloro cresciuti a pane e bambagia. Ora è venuto il momento dello sfigato, che lascia le melodie da Accademia della Crusca del suo predecessore per un aggettivo da uomo della strada.
Ma chi è lo Sfigato?
Hai più di 28 anni e non hai ancora finito l’università perchè fai i turni in fabbrica? Dicesi “Studente-Lavoratore”.
Hai più di 28 anni, ti comporti come uno che ne ha 18 e passi le tue serate tra una discoteca e l’altra a spendere i soldi di Papà offrendo da bere a tutti, tanto chissenefrega dell’università fino a che c’è qualcuno che mi copre il culo? Sì, sei uno Sfigato.
Hai 24 anni e ti sei laureato con pieni voti ad entrambe le prime sessioni di laurea utili sia alla triennale che alla specialistica, ovviamente con il massimo dei voti, e come se non bastasse hai trovato lavoro prima che finissi l’università e hai dovuto pregarli di farti incominciare dopo la laurea anche perchè il lavoro era, così giusto per fare un esempio, in Svezia? Rimani lo stesso un pò Sfigato. Secchione sarà anche bello ma arrivano certi giorni e ti chiedi: perchè questa corsa? Le ragioni ci sono e sono anche buone. Fino a che ero (ehm… sei. Va bè, qui si parla di me, se non si era capito!) all’università vivevo sulle spalle dei miei genitori e a poco servivano i lavoretti estivi a sbarcare il lunario: le migliaia di euro di tasse universitarie non le coprivano nemmeno mesi di cameriera senza contare l’appartamento e così via. Poi a fare la parte da leone c’è la sindrome da prima della classe che mi affligge dal 1986 e quella è un morbo incurabile. In più, studiare per me non è mai stato difficile: anche nel periodo della mia vita A.F. (Avanti Facebook) trovavo il modo di cazzeggiare su internet, invece di stare sui libri eppure quello che facevo era sufficiente a barcamenarmi senza puntare al 18. Quando ero all’università sentivo che per me quello era il mio lavoro e come tale dovevo dedicargli un tot ore a settimana e un p di devozione.
Con il senno di poi mi chiedo a cosa sia servita tutta quella fretta e che forse a prendersela comoda, magari lavorando 9 mesi con un lavoretto qualsiasi per guadagnare quanto basta per farsi gli altri 3 mesi alle falde del Kilimangiaro o chissà dove. Ma come si be sa del senno di poi sono piene le fossa e adesso a 25 anni mi trovo in Svezia a metà del mio secondo anno di dottorato.
Hai più di 28 anni, non hai ancora finito l’università ma vivi in Svezia? Qui sei uno nella norma. Con il fatto che gli studenti hanno uno stipendio (una miseria, capiamoci, ma è pur sempre qualcosa!) il prendersela comoda in realtà assume più le sembianze di godersi la vita senza troppi stress e, credetemi, l’università svedese difficilmente offre qualsiasi tipo di stress. Per avere il titolo di dottorato devo seguire alcuni corsi con gli studenti della specialistica e nella maggioranza dei casi ci sono due terzi di lezioni e un terzo di esercizi in cui si risolvono in gruppo, con l’aiuto del professore degli esercizi identici a quelli che si troveranno all’esame. Per l’ultimo esame che ho fatto eravamo una quarantina in corso e dopo un paio di giorni dall’esame il professore invia una mail in cui dice che ha valutato solo metà delle prove ma che da una prima correzione generale tutti (!) hanno passato l’esame. E questo era l’esame di Chimica Farmaceutica, che nella maggioranza delle Università italiane miete vittime che nemmeno la peste.
In conclusione, il buon Martone si sarà forse fatto prendere un pò dall’entusiasmo e ha usato un termine d’effetto. Ha dipinto una situazione a tinte grigie con un bello squarcio nella tela con questo exploit: speriamo che ne possa uscire una discussione costruttiva piuttosto che tante polemiche fomentate anche da chi una laurea ce l’ha e non si sa come gli è arrivata tra le mani, vero Maria Stella?