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A Disagioville, per seguir virtute e canoscenza
Mi sembra chiaro da questo titolo che ho passato troppo tempo con persone più intelligenti della media. Non che io faccia necessariamente parte di questo gruppo, ne ho solo respirato la stessa aria e un po’ di aria me la do anch’io.
Sono tornata da ormai cinque giorni ma solo ieri ho preso pieno possesso della mia vita, disfando bagagli, pagando bollette e cucinando schifezze. Quindi oggi, ineluttabile, mi aspetta l’aggiornamento del blog.
Che detta così sembra un po’ un obbligo. E non lo è. E poi non che non abbia materiale di cui scrivere ma è che sono confusa sulla costruzione che tale materiale dovrebbe assumere, per evitare l’ormai abusato stile “a cazzo” di cui questo blog si erge recentemente a baluardo e avanguardia.
Dicevo, che sono tornata da poco da Disagioville, in cui sono stata per qualche giorno a causa (o per merito) di una conferenza. Disagioville è nel nord di Cruccoland, seconda città per numero di abitanti e prima città Europea più popolosa ma non capitale, giusto se ve lo stavate chiedendo. La popolazione di Disagioville, come dice il nome, è prevalentemente fatta da persone con un certo disagio addosso. Tipo che io arrivo alla stazione e mi trovo a far lo slalom tra gente ubriacherrima alle tre di pomeriggio e con dei cani che sembravano i figli di Cerbero; per non parlare della orda di metallari che mi ha incrociato una sera brandendo tra le mani il nuovo vinile dei Grave (nientepopodimenochè!), il cui nome è sembrato per qualche istante una previsione di dove sarei finita nel giro di qualche ora. Nonostante il disagio regnasse sovrano a Disagioville, devo dire che sono sempre tornata a casa intera e che alla fine ci avevo quasi preso gusto a mettermi in ghingheri, prendere il treno la mattina con il mio caffè lungo da portar via e arrivare all’università dove si teneva la conferenza.
La conferenza di per sé non ha brillato per momenti indimenticabili, se facciamo eccezione per la cena di gala a bordo di un battello che mi sembrava di essere sulla crociera di Love Boat, con i camerieri tutti impomatati che hanno dato il via alla cena facendo un’entrata con tanto di giochi pirotecnici in mano sulle note di qualche canzone che era famosa prima che io fossi nata. Che se non fosse che le finestre erano sigillate avrei potuto (e dovuto) tentare la fuga. Io non capisco perchè gli organizzatori di conferenze sentano l’urgenza di proporre momenti di kitsch estremo. Forse sono solo dei sadici e adorano far sprofondare la gente in un tremendo imbarazzo, forse l’ultima conferenza che hanno organizzato era sulla vera barca di Love Boat e hanno dei peculiari standard di ciò che è socialmente accettabile.
Comunque io non sono andata fino a Disagioville per disquisire su usi e costumi di camerieri nei battelli ma perchè dovevo illuminare il mondo con il mio impareggiabile contributo scientifico. L’illuminazione è partita più o meno dopo cinque minuti dall’apertura della mostra dei poster quando le due uniche persone (su 350!) che fanno più o meno quello che faccio io, si sono presentate davanti al mio poster per carpire i più subdoli dettagli, sbavando ingordi di particolari e anticipazioni. Ovviamente i due erano Crucchi, come gran parte dei partecipanti, e come tali noiosi. Così noiosi e prevedibili che dopo avermi fatto più domande che Carlo Conti in tutta la sua carriera, hanno finto di non vedermi per il resto della conferenza. Sulla fine (dopo giorni e giorni!) sono riuscita a sgelare un po’ il Crucco facendo la simpatica e sottolineando come quello di cui trattiamo noi sia un lavoro di merda, con poche gioie e futuro incerto. Alla fine lui ha riso e abbiamo parlato di ovvietà per tipo cinque minuti, mentre la Crucca faceva solo dei sorrisi finti. Sospetto stessero insieme, ma alla fine della fiera anche un bel chissenefrega.
La mia socialità al limite dello pseudopatologico mi ha fatto conoscere un bel po’ di persone, prevalentemente di sesso maschile (ma guarda un po’ che caso!). Ci sono diverse ragioni per cui si intavola una conversazione a una conferenza e le vado qui ad elencare:
1. Per riempire un silenzio altrimenti imbarazzante. E questo è un po’ il filo conduttore di un buon 90% delle conversazioni che originano dalla condivisione forzata di spazi limitati con pressoché sconosciuti. Il fatto che si inizi a parlare fa diventare te e lo sconosciuto delle conoscenze, per cui la prossima volta che vi reincontrerete in uno di questi spazi limitati sarete tenuti a un minimo sindacale di convenevoli e nel giro di cinque giorni sarete diventati amici per la pelle, vi chiamerete per nome senza più guardare la targhetta e vi prometterete di sentirvi per e-mail al fine di iniziare fruttuose collaborazioni scientifiche.
2. Per interesse/ ammirazione/ curiosità nei confronti del loro contributo al mondo della scienza. In questo caso ci si appropinqua con un sorriso all’interessato/a e ci si relaziona usando termini scientifici, come se si stesse a disquisire di quisquilie ma con il tono di voce con cui si esclama “Ah, la tauromachia!”. Una tazza di caffè in mano è raccomandata. Niente latte, niente zucchero, solo caffeina. Al termine del colloquio, complimentarsi per il lavoro svolto e per la piacevole conversazione, girare i tacchi e scomparire tra la folla senza mai voltarsi e senza mai chiedersi che cosa vi siete veramente detti. A volte parlare a una conferenza è come parlare in danese (per ulteriori informazioni guarda qui).
3. Per caso. Capita ogni tanto che tu voglia ingaggiare una comunicazione come al punto 2. ma invece ti trovi davanti a un tizio sorridentissimo che dopo cinque minuti ti ha già detto ti amo in Svedese e che ha sempre voluto venire a vedere la città in cui vivo. Gli incontri casuali al caffè e i saluti nelle aulette in cui si tenevano le sessioni parallele sono continuati serrati. Alla fine, come al solito, non è successo niente di cui vale la pena raccontare. Ma il mondo è pieno di conferenze, per cui non importa in quale lidi sarà la prossima, e sarà altamente probabile che io e il MSc Sorriso ci si riveda. (MSc Sorriso è ovviamente Crucco pure lui e mi ha già mandato all’aria l’inossidabile teoria che i Cruc… ehm… Tedeschi sono noiosi, per cui farà meglio o a diventare noioso o a costituire una robusta eccezione alla regola!).
Lasciati quindi da parte i sogni di gloria della conferenza, torno con i piedi per terra all’appartamento Svedese. Manca un mese all’incirca al nuovo espatrio, verso Tulipanigian ed è tutto in salita. Ma di questo ne riparleremo presto.