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Riguardati
Come nelle migliori tradizioni, il mese di Giugno è paragonabile in spirito e leitmotiv al mese di Maggio, anche se manca della spontaneità del mese passato e si concentra sulle consolidazioni di quanto seminato nei trentuno giorni precedenti.
E no, non stiamo parlando di botanica qua.
Il problema del mese di Giugno è che l’Università finisce e tanti che fino a qui hanno allietato queste tiepide giornate se ne vanno per l’estate tornando ad Agosto, che francamente è già inverno e buona notte al secchio.
Tra quelli che se ne vanno almeno per un po’ figura anche il mio quasi collega Svedese Camomillo che a tempi alterni ha fatto da gosthwriter a questo blog, come spesso accade quando abbiamo una cotta per qualcuno e, seppure non ammettendolo ci sentiamo influenzate dalla presenza di questo qualcuno facendo o dicendo idiozie con il puro scopo di compiacerci nella fugace sensazione di aver guardato la stessa stella anche se da due posti diversi.
Lo Svedese Camomillo appare qui per la prima volta e non ci fa una grande figura, visto che gli appioppo questo pseudonimo e visto che in realtà stavo a rosicare perchè su di lui era stato apposto il bollino. Il bollino è quel cerchietto adesivo che viene apposto sui già quadri venduti alle mostre per dirti che non ti devi fermare a guardare e puoi andare a cercare qualcos’altro da un’altra parte. Ecco, lui era stato bollinato da una mia ex-collega che forte del fatto di lasciare il lavoro da lì a poche settimane aveva reclamato un diritto di prelazione, annunciando “sarà mio” . E non lo fu.
Ma per arrivare fino a qui dobbiamo passare per assurdi incontri in palestra in cui non mi degna di uno sguardo (come è il modo di fare svedese) e per un concerto in cui sono stata attratta con l’inganno dalla mia ex-collega bollinatrice in cui lui non la degna di uno sguardo e io che mi sorbisco tutte le paranoie di lei che mi e si dice quale inutile perdita di tempo è correre dietro a costui. E lei per quanto ad oggi goda di tutta la mia indifferenza ad oggi, viene fuori che aveva anche ragione.
Ma quando il mese di Maggio arriva tutto il mondo appare in colori nuovi. Anche gli Svedesi Camomilli dai capelli rossi. Così finalmente iniziamo a parlarci e io scopro che lui o ha una memoria ai limiti dell’autistico o si ricorda per filo e per segno conversazioni che abbiamo fatto mesi fa e me ne chiede anche conto. E io che anche ho una buona memoria mi rendo conto che non mi ricordo cosa abbiamo detto o fatto a Febbraio. Ma lui sì. E allora per un qualche misterioso processo noto alle sole portatrici di ovaie inizio a fare congetture e a convincermi che lui fin da quei freddi mesi avesse tenuto un file nella sua testa con tutte le mie informazioni che annotava con dovizia di particolari e se lo rileggeva nelle fredde notti d’inverno pensando a me. Già, già.
Ammetto che c’è lui dietro al film Låt den rätte komma in e anche a una recente visione di The Game of Thrones in cui sono stata tirata in mezzo e che mi avrebbe lasciato del tutto indifferente se non fosse che a quanto pare lui se lo veda proprio di gusto. E non capisco se siano le scene di accoppiamenti more ferarum, le teste mozzate o tutte quelle incongruenze spazio-temporali che a noi dei fantasy ci piacciono tanto (ma a me no).
Dopo tutti questi mesi arriva il giorno in cui lui deve ripartire per le vacanze estive e visto che non ha ancora finito tutto quello ha da fare qui ritornerà tra qualche mese per completare la sua tesi. In tutta onestà, non mi aspettavo un congedo in stile Rossella O’Hara, con scaloni, gonne ampie e baci col casquè. Però non immaginavo nemmeno che lui si presentasse nel mio laboratorio con una provetta, dicendo di farla avere al mio compagno di laboratorio e poi nell’uscire girarsi e dire “Take care”, che in italiano lo tradurrei come “Riguardati” oppure “Stammi bene”.
Questo saluto rientra nella top ten dei peggio commiati mai visti, peccato non mi abbia dato anche il cinque altrimenti un gradino del podio era tutto suo.
Va bene, Svedese Camomillo, prometto di non prendere il raffreddore quest’estate.
All adventurous women do
Oggi avevo già imbastito un post in cui parlavo di ragazzi svedesi, di cose che mi sono capitate e magari anche dei bagordi di Valborg. Invece ho sentito il bisogno di consigliare al mondo una nuova serie TV, io che una TV nemmeno ce l’ho.
Poco tempo fa mi è capitato di vedere un film che si chiama “Tiny furniture“. E’ il film scritto, interpretato e diretto da una ragazza che ha proprio la mia età e che due anni fa ha messo in piedi un lungometraggio in cui racconta di quella che è la vita di una ragazza oggi, con tutte le ansie sul futuro, indeterminazione e incertezze che possono passare nella testa di una ventiqualcosenne al tempo della crisi. Anche se Lena Dunham (la regista del film) è super figlia d’arte, nonostante quello che fa nel film non è proprio capitato ad ognuno di noi e considerando che il film totalizza un misero 6.0 su IMDB a me è piaciuto.
Lo consiglio vivamente a tutti quelli che sono stanchi di vedere film in cui un bel giorno la protagonista scende dal letto e sistema la sua vita per filo e per segno, amore, fortuna e lavoro con cinque stelle e vissero tutti felici e contenti. Per sempre. The end.
Il film, che non penso abbia avuto un enorme successo di pubblico, per la mia gioia e quella di Lena, è stato seguito da una serie TV che si intitola “Girls“. I personaggi non sono più quelli di Tiny furniture, anche se gli attori sono in parte gli stessi. La trama però è imbastita sullo stesso concept: gente normale che fa cose normali.
La serie è trasmessa dalla rete televisiva HBO, la stessa di Sex and the City, e nel primo episodio c’è un diretto riferimento a questa serie che poi a guardare bene è visibile nella serie stessa. Quattro ragazze a New York che fanno sesso. Solo che se le quattro di Sex and the City avevano il problema di comprare scarpe costose o di andare al party più cool, quelle di oggi sbarcano il lunario e cercano un lavoro. Che potrà anche sembrare che adesso ci fanno vedere il Sex and the City de li poracci, ma dopotutto chi le ha mai davvero viste un paio di Jimmy Choo? (E sì, ho dovuto controllare lo spelling su Google)
La televisione non è più quella scatola che ci fa sognare. A volte sono contenta anche solo di specchiarmici dentro.
Se non vi basta, un altro punto positivo della serie è che le attrici non sono queste modelle di Victoria Secrets. Sono ragazze, a loro modo carine, ma non hanno una quaranta, niente pin up, tutte abbastanza acqua e sapone. Insomma normali.
Se vi ho già convinto state attenti che nelle prossime righe ci sono pacchi di spoiler (delle prime tre puntate!), se non vi ho ancora convinto continuate a leggere e magari cambierete idea.
Hannah è forse la protagonista. Le vengono tagliati i fondi dai genitori, da cui veniva mantenuta, ed è costretta a lasciare lo stage non pagato dei suoi sogni per trovare un lavoro vero. Ha un ragazzo, un attore a tempo perso, con cui fa sesso stabilmente ma lui non la chiama mai. Hannah convive con Marnie, di cui è anche la migliore amica.
Marnie lavora in una galleria d’arte e sta attraversando un momento di crisi con il suo ragazzo da tanto tempo, la cui vista la fa diventare isterica.
La serie comincia con il ritorno in città di Jessa, dopo uno dei suoi tanti viaggi bohemienne in Europa. Jessa è na pazza fondamentalmente. Fumatrice (di tutto), bevitrice e un pò ninfomane. Va a vivere con il suo esatto opposto, la cugina Shoshanna, che come potrete aver capito dall’altissima densità di acca nel nome è un pò svampita. Vestita di tutine di ciniglia rosa affronta il mondo con la paranoia di essere ancora vergine a ventiequalcos’anni.
Questo è quanto e in realtà c’è molto di più. Non molto magari, ma di sicuro è quello che per qualcuno è molto.
Soprattuto per quelle(i) che le principesse hanno fatto il loro tempo e vogliono sentire l’opinione delle eroine di tutti i giorni in ballerine di H&M.