Tout va bien, je suis en Bretagne

J’espère que tout le monde va bien.

Era Novembre al tempo degli attentati a Parigi. Quella sera un po’ spaesata guardai facebook e trovai una frase di una ragazza che incontrai in Erasmus e che vive a Parigi: “Va tutto bene, sono in Bretagna”. Pochi minuti dopo, in un commento, aggiunse lei stessa “Spero che tout le monde stia bene”. La cosa mi colpì parecchio. Meditai di scriverci un post ma poi il tempo passò, le acque apparentemente si calmarono e io lasciai quelle frasi nel cassetto.

Poi gli eventi in Belgio hanno riaperto quel cassetto, nonostante sia in un cospicuo ritardo su tutti i talk show e che le opinioni di chiunque sono già state ampiamente espresse.

Non sono qui per discutere chi sono e chi li manda, ma chi siamo noi. Quella mattina, come ogni mattina, ascoltavo la radio italiana prima di andare a lavoro. Diedero la notizia in diretta e subito dopo gli ascoltatori iniziarono a scrivere e chiamare la radio per esprimere le loro impressioni sulla vicenda. Ogni intervento era un misto di rabbia e paura, minacce e frasi di circostanza.

Io invece facevo il conto di chi conosco che vive a Bruxelles. La mia condizione di “moderno nomade” fa sì che abbia tra le mie conoscenze altre persone simili a me, gente che vive in giro per il mondo e si sposta di continuo. Avevo contato due Belgi autoctoni e due Italiani che vivono a Bruxelles. Ci ho pensato tutta la mattina a come stavano loro e se i loro cari e amici stavano bene. Non c’era rabbia, non paura, solo pena per non sapere se chi conosco stava bene. E di quel commento un po’ egoistico che lessi dopo la notte di Parigi, Tutto bene, sono in Normandia, mi torno in mente la seconda parte, Spero che tutti stiano bene.

Ho passato gli ultimi sei anni della mia vita in giro. Mamma Europa mi ha permesso di farlo, prima un Erasmus, poi un dottorato sotto l’egida di Marie Curie, che tanto generosamente mi ha foraggiato durante il PhD, permettendomi di risiedere per brevi periodi in altri paesi dell’Europa e di conoscere centinaia di persone, dandomi la spinta per continuare a vivere all’estero, che poi un estero non è se siamo in Europa. L’Europa con le frontiere aperte e l’utopia in testa.

Io pensavo ai miei amici e la casalinga di Voghera pensava a difendere la sua incolumità, lei che il luogo più esotico che ha visitato negli ultimi mesi è il Bennet di San Martino Siccomario.

Un Commento

  1. Elle

    Come ti capisco, in un gioco di follia, io italiana (a Londra) ho il mio ragazzo (inglese) che al momento vive e lavora a Bruxelles ma il giorno dell’attentato era in Corea. E come te tutte le volte che succede qualcosa cerco di capire se tra amici e conoscenti vada tutto bene. Noi nomadi del nuovo millennio.

  2. kremab

    BUON VIAGGIO nel mondo a portare e ricevere suggerimenti ed idee… E’ per un nonno ottantenne seguire avventure e disavventure di una ragazzina conosciuta per caso nel web alle soglie dell’ università è un modo per sperare in un futuro più aperto e disponibile (almeno per chi ha voglia di mettersi in gioco). SALUTI Non so se ero kreben o nitokrema. o, come stavolta, kremab….

    • Frou Svedese

      Che amarcord caro kremab (o nitokrema o non mi ricordo più).
      I tempi di splinder e quelle discussioni di politica e costume. Sono cambiate le cose (oppure no) e spero tutto bene con la carriera di nonno e formatore di nuove generazioni di nipoti.
      Un abbraccio

      • kremab

        GRAZIE… tI leggo abitualmente e poi, di solito, lo metto su FACEBOOKKE su “storie di Benito Cremonini” che sarei poi sempre io.

  3. fughetta

    posso solo dire che capisco e condivido ogni virgola, come ho cercato di spiegare.
    Ho notato comunque uno strano fenomeno, che mi ha irritata non poco.
    E’ senz’altro vero che possiamo morire in qualunque modo e in qualunque momento (mia mamma una anno fa fu urtata da una macchina mentre andava al lavoro in bicicletta, cadde, si fratturò il cranio e fu portata via in elicottero in coma) ma il rischio di attentati è oggettivamente molto più alto in determinati posti che in altri. Sono tornata in Italia per 3 giorni e mi sentivo dire “eh, alla fine pericoli ce n’è ovunque” come se passeggiare per il corso del mio paese di provincia fosse altrettanto pericoloso che prendere la metro a Londra. Immagino sia un modo per esorcizzare la paura, ma è anche un bel modo per rifiutarsi di vedere la complessità dei problemi.
    C’è una bella distanza tra il control freak e il fatalismo. Mia sorella ha preso un aereo per Bxl 2 giorni dopo l’attentato, entrambe siamo tornate in Italia 5 giorni dopo l’attentato e io sono ritornata in Belgio una settimana dopo l’attentato. Mia madre non ha mai detto “non vi muovete!”, ma era un filino preoccupata e mio padre mi ha chiesto di scrivergli appena fossi arrivata a casa. Se non l’avessero fatto non avrei pensato che fossero stoici o razionali, avrei pensato che fossero scemi!
    Ok, fine dello sbrodolamento. 🙂

    • Frou Svedese

      Il pericolo c’è ed è innegabile, soprattutto se si vive in grandi città e se si prendono spesso aerei. Ai tempi d’oro del dottorato con relazione a distanza avevo contato 30 aerei in un anno, ora sono meno (poco più di 10 l’anno scorso) ma sono molto più attenta al pericolota quando vado in bicicletta a lavoro (in Inghilterra le piste ciclabili sono una striscetta di asfalto a lato della strada) o quando maneggio qualche reattivo tossico/cancerogeno/corrosivo. Condivido e capisco essere preoccupati per l’eventualità ma ci sono mille altri modi per morire, come dicevi tu nel tuo post sull’argomento. Lo avevo trovato molto bello.

  4. nicogio

    “L’Europa con le frontiere aperte e l’utopia in testa”… E qualche spina nel fianco (o in altri luoghi innominabili). Ma l’Europa delle culture esiste? Oppure siamo solo alle prese con la “Grande marcia”, di kundriana memoria, ormai immersa in un silenzioso nulla? Oggi si vola alto. Domani chissà …

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